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Accoglienza: una scelta possibile, obbligata e (forse) contagiosa

Da fine giugno è salita l’allerta sbarchi sulle coste italiane. Nel solo finesettimana di metà luglio sono approdati nei porti del sud oltre 7000 migranti. Tra gli 860 sbarcati il 14 luglio a Brindisi c’era il piccolo Cristo, nato durante il viaggio da una donna camerunense. Nei primi sei mesi del 2017 gli arrivi sono stati 85.000, il 21% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. «La situazione è insostenibile, la misura è colma; l’Italia non può sostenere l’onere da sola, l’Europa deve fare la sua parte; occorre fermare i flussi in partenza; chiudere i porti se necessario; stabilire codici di condotta per le navi delle ONG; aiutare i migranti a casa loro» (cioè: pagare i governi locali perché rafforzino le frontiere e blocchino i flussi in uscita). È ciò che dicono ormai all’unisono le forze politiche di destra e sinistra, ed è questa logica che sta ispirando la ricerca di soluzioni a livello nazionale ed europeo. Aderirvi è facilissimo. Più difficile è prendere sul serio le parole del Papa: «Noi abbiamo come problema principale e crescente nel mondo d’oggi quello dei poveri, dei deboli, degli esclusi, dei quali gli emigranti fanno parte»; «Se in Italia si accogliessero due migranti per municipio ci sarebbe posto per tutti. E la generosità del sud, di Lampedusa, della Sicilia … possa contagiare un po’ il nord». Sembra che il Papa non viva in questo mondo. Eppure, se non appiattiamo lo sguardo sul qui e ora, e ci sforziamo di andare oltre l’istinto di voler solo contrastare un fenomeno che disturba, ci accorgiamo che per affrontare il processo strutturale delle migrazioni in corso non c’è un’altra prospettiva valida, insieme a quella di una cooperazione allo sviluppo seria che, casomai venisse intrapresa, inciderebbe però solo nel lungo periodo. Il flusso migratorio nel breve/medio termine non si fermerà, perché troppo profonde e vaste sono le cause da cui deriva. È ancora Papa Francesco a ricordarne una, che rimuoviamo con disinvoltura sorprendente: «Il colonialismo partì dall’Europa … Ci furono aspetti positivi nel colonialismo, ma anche negativi. Comunque l’Europa diventò più ricca, la più ricca del mondo intero. Questo sarà l’obiettivo principale dei popoli migratori». Guardando al fenomeno nel suo complesso ci accorgiamo che siamo in realtà obbligati a cambiare mentalità e abitudini, anche se preferiamo illuderci che basti chiudere le rotte migratorie per risolvere l’”emergenza”. Incamminarsi verso un atteggiamento culturale e fattivo di accoglienza, cercare con intelligenza soluzioni per realizzarla, non è una scelta ottusamente buonista, ma probabilmente l’unica che non sia un vicolo cieco, un modo per posticipare l’esplodere di una crisi ancor più grande. Che l’Europa debba aiutarci è certo. Ma per essere credibili nel chiedere aiuto dovremmo dimostrare di aver fatto, noi, la scelta dell’accoglienza possibile, diffusa e seguita. Anziché strepitare, adottare la strategia del contagio. Come sta facendo la Caritas di Foligno.

AMINA MANEGGIA

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