L’Afghanistan negli occhi, casa nel cuore
Il racconto di un giovane afgano ospitato dalla Caritas di Foligno, arrivato in italia prima che la situazione nel suo paese precipitasse a causa dei talebani: “lì la situazione è grave, ritirare le truppe occidentali è stato un errore”
Gli occhi di un verde profondo si guardano intorno, inquieti. Sono attraversati da un pesante velo di tristezza mista a preoccupazione. Sono gonfi e rossi. Segno che chi mi sta di fronte non ha dormito molto durante la notte. Sono le 9 di mattina, una calda mattina di fine agosto, e di fronte a me si è appena seduto un ragazzo afgano (di cui non pubblichiamo il nome ndr). Siamo nel chiostro del Centro della carità di San Giacomo, sede della Caritas diocesana di Foligno che lo ha accolto ormai un mese fa. Ha vent’anni, capelli neri ricci e folti e la mascherina a coprirgli metà viso, lasciando intravedere solo quegli occhi che dicono, subito, molto più di quello che potrebbero fare le parole. Anche perché lui non parla italiano e anche l’inglese non lo mastica molto bene. Si aiuta con uno di quei traduttori che ormai si trovano in tutti i telefoni. Lo passa a Lamin, un ragazzo gambiano che si è reso disponibile a fare da interprete. Il nostro ponte comunicativo. Ed è così che racconta la sua storia. Viene dal Parwan, una delle 34 province dell’Afghanistan, nel nordest del Paese. La sua fuga dai talebani risale a cinque mesi fa. Ha attraversato prima l’Iran, poi la Turchia e alla fine è arrivato in Italia. È sbarcato in Sicilia, come tanti altri profughi che con lui hanno condiviso un destino incerto. Da lì, è stato trasferito in Umbria e, attraverso la Prefettura di Perugia, ha trovato in Foligno il suo porto sicuro. Il suo animo, però, è inquieto. Lo dicono i suoi occhi e poco dopo lo confermano le sua parole. È preoccupato e ha paura per la sua famiglia, rimasta in Afghanistan. Lì, ha lasciato una moglie e due figli…
di MARIA TRIPEPI
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