Autismo, studenti “invisibili”
Al via la nostra indagine su scuola e disabilità grazie all’allarme lanciato da Ortenzia Marconi, coordinatrice dell’area pastorale Evangelizzazione e Catechesi della Diocesi di Foligno. Una mamma racconta: “Per i ragazzi come mia figlia è come se fosse scomparso il mondo”
La didattica a distanza ha stravolto la vita di tanti studenti disabili. A spiegarlo Ortenzia Marconi, coordinatrice dell’area pastorale Evangelizzazione e Catechesi della Diocesi di Foligno, già dirigente scolastica in quiescenza. Dal suo allarme ecco il primo di una serie di contributi per dare voce a ragazzi e famiglie stremati dall’isolamento e dall’indifferenza, sottoposti al rischio di un impoverimento educativo. Preziosa la testimonianza di Annamaria Ninassi: nel doppio ruolo di madre e insegnante restituisce un’immagine lucida e difficilissima della situazione di tanti ragazzi autistici e delle loro famiglie.
Signora Annamaria la sua testimonianza riguarda quegli studenti disabili tagliati fuori dalla didattica a distanza. Può spiegarci?
Desidero premettere che i ragazzi che hanno deficit di natura esclusivamente fisica stanno forse vivendo il processo inverso, quello di maggiore inclusione: perché tutti stanno seduti, non si possono muovere, tutti sono legati fra loro attraverso il web senza poter uscire, correre, giocare. Paradossalmente un ragazzo neurotipico con un deficit fisico sta vivendo una fase di inclusività mai vissuta prima. Questo dice alla scuola che deve potenziare gli strumenti didattici mirandoli sulle differenze, capovolgendo la classe a favore di quella differenza nella quale si può portare tutta la classe. Invece il problema molto grave è per i ragazzi neuroatipici come mia figlia, una ragazzina autistica. Come lei tutti i ragazzi autistici a basso funzionamento hanno fortemente inficiata la funzione della relazione, del linguaggio e anche del riferimento simbolico. Non hanno la capacità di utilizzare gli strumenti comunicativi web. Mia figlia va in internet solo ed esclusivamente per cercare i cartoni animati. Lo usa come un televisore, non per comunicare.
Che significa in termini di riscontro didattico?
Se non hanno delle capacità celebrali adatte per lavorare col web per loro questo modo di relazionarsi non esiste. Per loro la relazione passa attraverso le persone, il rapporto fisico che si costruisce con loro giorno per giorno, adattando e conoscendo i reciproci linguaggi. I ragazzini con autismo hanno un linguaggio iconico, quindi vanno per immagini che vengono scandite, proposte; attraverso attività organizzate in micro contesti. In una classe si compone un gruppo di due o tre compagni e si stabilisce una relazione; su quella si imposta il percorso educativo e di docenza. Quindi è tutto un lavoro giocato sulla fisicità: il gioco dello sguardo, il far mantenere l’attenzione, l’utilizzo del livello tattile (toccare il braccio, toccare la mano, richiamare lo sguardo).
Quali difficoltà può descrivere come mamma di una ragazza con bisogni speciali?
Abbiamo fatto tentativi di didattica a distanza col gruppo dei docenti di sostegno e un’operatrice: le ha guardate e se ne è andata. Questo tipo di relazione per lei non ha senso, le facce che vede sono come un film, un documentario. Quindi noi non abbiamo fatto neanche un’ora. Le operatrici inviano delle attività che filmano e che lei ripete con me, mantenendo un filo sottile fra lei e loro. Ma mia figlia sta regredendo nei comportamenti, negli atteggiamenti…
FEDERICA MENGHINELLA
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