Agilità e forza
Il mio ricordo di don Sergio Andreoli
Ricordo che mi trovavo a casa di mia nonna, fra Vescia e Acquabianca; luoghi di asparagi e more, lumache e tordi. Era un’estate dei primi anni settanta. Io ero un bambino in carne; nella considerazione dei coetanei, giù al fiume, andavo dal comunissimo cicciabbomba al più articolato gatto di piombo. Don Sergio, parroco in quei tempi a Belfiore, guardandomi mentre giocavo sotto al porticato, disse osservandomi: “È agile!”. È il primo ricordo che ho di don Sergio. È agile. Rammento perfettamente la sua espressione di approvazione e fiducia; sorrideva. Molti anni dopo, trovandomi a riflettere sui sette pani e i pochi pesciolini a disposizione dei discepoli per una grande folla (cfr. Mc. 8, 1-28), mi venne in mente l’agile di don Sergio: valorizzare quello che si ha. Valorizzare ciò che c’è di buono e potenzialmente proficuo, fruttuoso, benefico; sapere sempre che anche il ventre ammorato dei piovaschi ha comunque una parte rivolta al sole. Credo che questo sia stato il segreto del consenso riscontrato da don Sergio fra tanti suoi studenti: la sua amicizia. Vera, solidale: si condensava negli occhi che giungevano all’anima di chi aveva di fronte e nel sorriso che non mancava mai. Valorizzazione e accoglienza; e l’invenzione ironica sui nomi da lui riadattati, un ponte sicuro per abbreviare le distanze, un passo lesto, svelto. Agile. Lo penso ed accanto a lui vedo don Dante; una volta li chiamai i dioscuri della diocesi. Una concentrazione di intelligenza e di ironia, una curvatura dello spazio-tempo in cui si è irraggiata cultura e umanità, dono e letizia. Se in redazione parlavano loro due, la redazione diventava silenzio e rispetto; se in redazione c’erano don Sergio e don Dante qualcosa accadeva sempre, qualcosa succedeva, in senso veramente etimologico. Se a parlare erano loro, non si andava semplicemente verso le cose, ma nelle cose. Io ritengo che se ci siamo arricchiti in qualcosa, è anche perché i dioscuri ci hanno fatto capire che ad essere preziosi eravamo proprio noi, con le nostre divergenze e diversità, con i nostri talenti che, singolarmente, rischiavano di non avere la stessa bella riuscita che avrebbero avuto a metterli insieme, a condividerli. A farli servizio. “Compirò in te grandi cose al cospetto degli uomini”: don Sergio, lo sanno tutti, è una bibliografia fondamentale su Sant’Angela da Foligno. La trascrizione del cod. CXII della Statale di Santa Scolastica di Subiaco è un riferimento imprescindibile per ogni studioso. Ora don Sergio farà dimora presso Dio con l’amore che gli ha ispirato la grande Santa. Negli ultimi tempi l’ho visto sofferente, ma mai piegato. Difficile resistere alla tentazione di riportare le parole di Angela: “Per me non intendo servire né amare in vista di un premio; intendo servire e amare Dio perché è buono”. Perché è buono. L’ultima volta che ho incontrato don Sergio è stato alla residenza Bartolomei Castori, un pomeriggio. Non pioveva più e mi salutò in giardino: “Forza!”. Adesso capisco che veramente mi stava salutando, chiudendo un cerchio iniziato con l’agilità di tanti anni prima.
GUGLIELMO TINI