Così ho sconfitto il virus
Il sindaco di Spello Moreno Landrini racconta in esclusiva alla Gazzetta di Foligno le fasi della sua malattia. “Una battaglia durissima, senza la fede è difficile riuscire ad affrontare queste prove”
“C’è stato un momento incredibile – ha spiegato – durante il quale mi sembrava che l’anima si staccasse dal corpo”.
È del 26 marzo scorso l’annuncio del ricovero di Moreno Landrini, sindaco di Spello, positivo al Coronavirus. Gli scrissi manifestandogli la mia vicinanza, pur sapendo che non sarebbe riuscito a leggermi e nella speranza che il mio pensiero, insieme a quello di tanti altri, potesse sostenerlo. Diciassette giorni dopo nel messaggio di risposta mi scriveva: “Non è facile immaginare quanto è dura”.
Oggi ha accettato di raccontarlo ai nostri lettori in una lunga e commovente intervista dopo la fine della convalescenza. Eccola.
Immagino la difficoltà di questa prova.
È una cosa difficile da raccontare… veramente. Quello che si vede in tv non descrive minimamente l’angoscia nell’affrontare questa malattia. Questo aspetto quasi passa in secondo piano perché si pensa sempre “non capiterà a me”. Innanzitutto voglio dirti che tutto questo lo possiamo affrontare oggi con la forza della scienza al servizio dell’uomo. Questa è una faccia della medaglia. L’altra è costituita dalle preghiere che sono arrivate dalla gente, da chi mi conosce. Senza la fede è difficile riuscire ad affrontare queste prove. Dalla comunità di Spello mi è giunto grande sostegno: dai cittadini credenti e anche dalle istituzioni religiose.
Tu sei un testimone particolare: dalla gestione dell’emergenza Coronavirus al contagio. Come è andata?
Sono stato sempre molto attento da quando abbiamo capito la gravità e il reale pericolo di questa epidemia. All’origine i pensieri – che ognuno teneva per sé – erano di incredulità. Resta la grande domanda: perché e come siamo arrivati a questo? Un pipistrello non basta a spiegare una pandemia di queste dimensioni.
Per quanto riguarda il mio ruolo di sindaco quando l’allarme è salito ho seguito e monitorato tutto con la massima attenzione, in sintonia con ogni livello istituzionale. Il nostro Comune ha adottato la massima cautela nella gestione dell’emergenza. Siamo stati tra i primi municipi umbri – senza ancora casi positivi – ad attivare il Centro Operativo Comunale ed anche lo smart working per gli uffici comunali. Evidenzio che da me nessuno è stato contagiato: volontari di Protezione civile, dipendenti comunali, cittadini o colleghi di Giunta e di Consiglio; segno che la prudenza e l’attenzione sono state estreme.
Come è cominciata la malattia?
Il 18 marzo di mattina abbiamo avuto Giunta in via telematica. Alle 18.30, senza sintomi particolari, è arrivata la febbre: 38,5 gradi. Da quel momento non sono più uscito di casa e su consiglio dei medici mi è stato suggerito di prendere la Tachipirina. Il tampone l’ho fatto 7 giorni dopo; siccome i parametri non erano buoni i miei medici curanti – tra cui Daniele Rosignoli, infettivologo e concittadino oltre che presidente del Consiglio comunale e grande professionista che ringrazio – il 26 pomeriggio hanno ritenuto opportuno ricoverarmi a Foligno; qui in due ore mi sono stati fatti i controlli e dopo aver dormito una notte in ospedale la situazione è precipitata. Con una brutta polmonite bilaterale hanno deciso di trasportarmi a Terni per avere le cure opportune e dove, per fortuna, c’era un posto libero nel reparto di Terapia Intensiva.
Giorni difficili... cosa ricordi in particolare?
C’è stato un momento incredibile, che ho fotografato in mente, durante il quale mi sembrava che l’anima si staccasse dal corpo. I medici si sono presentati dicendo: “Da qui in avanti devi dare retta a noi, non si può fare diversamente, dobbiamo andare in terapia intensiva e intubarti: firma questo foglio”. In quell’istante con la sedazione il mio corpo si è separato dall’anima. E siamo partiti. Non ricordo il nome dei medici, non ricordo nulla. Ma grazie a Dio è andata così, come doveva andare.
Come si potrebbero descrivere quegli attimi?
Dopo un giorno o due di incoscienza mi sembra di essere stato sempre sveglio, è difficile raccontarlo. Lì dentro è come stare in un’altra dimensione. Soffri, piangi, chiedi aiuto. Credevo ci si addormentasse e ci si risvegliasse appena finito. Invece in quei giorni di Terapia Intensiva ero in uno stato – per così dire – consapevole. È difficile immaginare cosa si provi. È difficile anche spiegarlo. Non so come la vivano gli altri, per me è stata un’esperienza forte e tanto difficile. Sono stato in terapia intensiva sei giorni, dal 27 marzo al 1° aprile. Il mio corpo è riuscito a reagire con forza e gradualmente sono stato trasferito al reparto Malattie Infettive dello stesso ospedale dove sono rimasto fino alle dimissioni (dal 1 al 15 aprile ndr).
Qui è andata meglio.
Si! Ho reagito in maniera molto positiva ed ho ricevuto tanti complimenti dai medici. Dopo due, tre giorni è andata meglio, con sempre meno ossigeno ad assistermi il respiro. I tre giorni in cui mi sono veramente rialzato sono stati quelli tra sabato santo, domenica e lunedì. Tre giorni nei quali mi è sembrato di aver vissuto dieci anni. In cui mi è sembrato di rinascere di nuovo. Ho trovato la forza di reagire anche rifugiandomi nel pensiero dei miei familiari: mia moglie, l’unica in contatto con i medici, e naturalmente mamma, papà, mio fratello e tutti i miei parenti che mi aspettavano là fuori.
Una Pasqua di passione e resurrezione…
Si! Patrizia (negoziante di ortofrutta a Spello ndr) mi faceva recapitare la frutta, la Protezione civile – che ringrazio di cuore – mi portava sempre le cose, da lì sono decollato! (qui si rompe la voce e il sindaco si commuove). Insieme a me c’era un altro paziente Covid del ’61 che mi guardava felice per avercela fatta: sono stato orgoglioso di essere un esempio. Sono stato curato principalmente con la terapia scoperta a Napoli (con il Tocilizumab, farmaco per l’artrite reumatoide scoperto dai medici degli ospedali Pascale e Cotugno di Napoli ed utilizzato in via sperimentale ndr).
Lì dentro vedi solo gli occhi delle persone, vestite e protette dai dispositivi. Vedi gli occhi e quelli ti si imprimono nella mente: occhi di medici, infermieri.
Quello di Malattie Infettive di Terni è un reparto straordinario e sono felice di essere arrivato lì, forse è stata un’altra delle cose che dovevano andare così. La loro esperienza, professionalità, umanità è stata una salvezza. Terni è l’esempio di un Servizio Sanitario efficiente, al servizio delle persone. Sono grato ad ognuno di loro e voglio ringraziare il direttore Michele Palumbo e il dirigente medico Cinzia Di Giuli della Clinica di Malattie Infettive oltre a Rita Commissari, direttore del reparto di anestesia e rianimazione. Sono grato a loro e a tutta l’equipe medica e il personale infermieristico.
Adesso come ti senti?
Bene direi, pensa che mi hanno dimesso e nel foglio hanno scritto “decorso clinico: buono. Paziente vigile e orientato”: mi hanno fatto diventare anche vigile! (ride di gusto). Ora va molto bene, ogni giorno sono più forte.
Voglio riferire le parole di una sanitaria che mi ha curato, Marilena Laureti, della quale ricordo – come detto – gli occhi. Su Facebook mi ha scritto: “Onorata di averti assistito. La tua educazione, generosità e allegria (al sindaco a questo punto si rompe la voce) e soprattutto voglia di vivere ti ha reso un paziente da accudire e amare. Con sincero affetto. A presto Moreno ma nella tua bellissima Spello (la commozione gli incrina la voce) dove verremo a trovarti noi infermieri e medici della clinica di malattie infettive di Terni”.
Io ho risposto scrivendo di essermi commosso e che trovare le giuste parole per descrivere le sensazioni e emozioni per tutto il personale del reparto malattie infettive del Santa Maria di Terni è impresa impossibile. Mi hanno fatto sentire come in una grande famiglia, dove tutti mi aiutavano e io nel mio piccolo ho fatto quel poco che potevo, porgendo la mano a donne e uomini che sono i nostri eroi di questa battaglia incredibile contro il mostro invisibile.
Chiudiamo con un appello al quale tieni molto: quello alla cautela
È così. In questa ‘fase 2’ non possono essere i presidenti di Regione e i politici in eterna campagna elettorale a decidere chi muore e chi no; occorre tenere duro e tenere alta l’attenzione, dando seguito ai consigli di medici e tecnici. Adesso è il momento della consapevolezza: tutti dobbiamo fare questo sforzo, tutti siamo chiamati a rispettare le regole per salvare vite umane e per uscire quanto prima da questo periodo che definire difficile è dire poco. Questo virus colpisce tutti, non solo gli anziani: si può banalizzare tutto per il consenso politico?
Voglio aggiungere che mi sento partigiano per la grande difesa della Sanità pubblica; non è stata la Sanità privata a salvare l’Italia ma Terni e come Terni i tanti ospedali pubblici italiani. La vera battaglia è per difendere la nostra Sanità Pubblica, che non dobbiamo smantellare ma potenziare.
FEDERICA MENGHINELLA