Foligno contro i non luoghi, un laboratorio dell’abitare
“Ma sedendo e mirando interminati spazi…”.
Bisogna rileggere l’Infinito di Giacomo Leopardi strappato nell’originale dalla Visso più che ferita, erosa dal terremoto e oggi uccisa come gran parte dei centri demici a cavallo tra Umbria e Marche dalla colpevole assenza d’ogni pubblico impegno per comprende l’urgenza che abbiamo, nell’emergenza, di ripensare i luoghi. Penso agli stagni di Colfiorito e alla loro marea che ora copre e ora disvela cammini atavici. Ma perché porsi oggi la questione dell’Appennino? Perché è tornata d’attualità – s’annida il pericolo che sia snobismo intellettuale – l’idea che bisogna ripopolare i borghi.
Si è intestata tale perorazione un archistar, Stefano Boeri autore del modaiolo bosco verticale di Milano dove gli spazi si vendono a 30 mila euro al metro quadrato. Ha ricordato Boeri che gli arresti domiciliari da Coronavirus hanno fatto riscoprire l’importanza del verde e che forse l’idea di città così come l’abbiamo implementata dall’800 a oggi va modificata. Tanto con lo smart working si può risiedere ovunque.
Attenzione però al luogocomunismo! Mi prendo la licenza di ricordare la mia toscanità e d’invitare a contemplare in palazzo pubblico a Siena il fresco “Allegoria ed effetti del Buon Governo” pittato da Ambrogio Lorenzetti nel 1339. Lì si vede come la città buona si pone non in preminenza, ma in funzione di servizio del territorio.
Lo sa bene Foligno che deve il suo splendore millenario dall’esser stata crocevia e scambio. Basterebbe rileggersi le carte del 1240 di Federico II per comprendere come allora la città avesse questa funzione di raccolta e distribuzione. Poi il contado è stato abbandonato. Oggi ci dicono che lì, nei villaggi (chiamarli borghi in assenza d’ incastellamento è sbagliato) potrebbe risiedere il riscatto perché c’è bisogno del distanziamento, perché il verde rigenera.
La reclusione da Covid ci ha, spero, fatto scoprire la differenza scomoda che c’è tra stare e abitare. Lo stare è fissità, è quasi estraneità al luogo che diventa confine, l’abitare è porsi dentro il luogo in una reciproca appartenenza. Abitare, da cui viene habitus, è indossare la fisicità del Creato e cucirla con l’identità antropologica. Per fare questo occorre riportare nei villaggi l’economia, dunque restituire centralità all’agricoltura di specialità integrata al turismo sostenibile, e superare i divari tra condizione urbana e isolamento rurale.
A farlo serve internet che funzioni, serve ripensare se è stato giusto, obbedendo a un concetto pervasivo e soffocante di surmodernità, chiudere le filiali delle banche, gli ospedali, massificare nei centri commerciali l’offerta facendo sì che il superfluo sostituisse il necessario.
Foligno ha la straordinaria opportunità di tornare a essere un laboratorio. Ha (incantevoli) frazioni di collina: Sassovivo, Annifo, la stessa Colfiorito, Cancelli, Pale, Popola e presidi di strade come Scopoli o Vescia o Capodacqua. Può oggi Foligno candidarsi a restituire ai villaggi la loro funzione di comunità operosa. Bisogna avere il coraggio di ribaltare il luogocomunismo della città come palcoscenico di vite edonistiche.
L’input di Stefano Boeri può trasformarsi da provocazione intellettuale di chi immagina la ruralità amena, in un progetto di recupero dell’integrale valore della ruralità per passare dai non luoghi, ai luoghi storici.
Penso che questa sia una sfida entusiasmante per Foligno dove la tecnologia si fece veicolo di cultura quando, correva l’11 aprile del 1472, dalla bottega di Numeister (complici attivi Orfini e Angelini) uscì la prima copia a stampa della Divina Commedia. Oggi siamo in piena terrena tragedia, ma la tecnologia può promanare in forma di capacità progettuale ancora da Foligno per restituire armonia al nostro mondo.
Afferma la dichiarazione universale del paesaggio: “Il paesaggio designa una determinata parte di territorio…il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Foligno può designare un nuovo paesaggio anche antropico. E allora potremo recitare questa preghiera laica alla vita: E come il vento/Odo stormir tra queste piante, io quello/ Infinito silenzio a questa voce/ Vo comparando: e mi sovvien l’eterno… Così tra questa/ Immensità s’annega il pensier mio:/E il naufragar m’è dolce in questo mare.“
CARLO CAMBI