Il virus dell’oblio
“Il virus è l’isolamento, qui si morirà di consunzione demografica ed economica. Qui suona beffardo l’appello ossessivo “state a casa”. Avercela, una casa!“
Il giornalista Carlo Cambi analizza le conseguenze dell’ennesima calamità che si è abbattuta sul nostro Appennino, flagellato prima dal terremoto e ora dal virus
Il 21 marzo è volato come un coriandolo triste della Storia nel vento gelido e fetido dei giorni infetti. Della basilica restano la gabbia dei tubi Innocenti e i monconi di abside, delle processioni e delle liturgie più neppure l’eco. Non si son fatte nel giorno di San Benedetto che privatissime orazioni e di certo l’Europa s’è scordata del suo Santo nel momento in cui più alta le serve protezione. C’è chi ragiona del Covid come d’una guerra. Guerra sì, ma dei Trent’anni ché l’Europa degli egoismi oggi è di nuovo percorsa dal discrimine tra protestanti e cattolici. Da una parte stanno la Germania, l’Olanda e le lande calviniste persuase che la predestinazione sia il disegno divino, dall’altra noi cattolici e mediterranei che confidiamo nella provvidenza. La solidarietà non appartiene ai loro valori. E per contagio europeista s’è appannata anche nella nostra consapevolezza. Non vale invocare Sallustio (?) del faeber est suae quisque fortunae (ognuno è artefice della propria sorte), piuttosto converrebbe tornare all’ ora et labora. Ma Norcia langue e di San Benedetto nessuno più si cura. Eppure il sindaco Nicola Alemanno ha alzato un grido: “Qui il virus ci ammazza due volte”. A Norcia sono 4 i contagiati, una ventina in tutto il “cratere”, ma non è questa la contabilità che pesa: è il nulla della ricostruzione. Gli esperti si affannano a dire: dopo il Covid niente sarà come prima. Una beffa per chi dopo la devastazione dall’agosto al novembre del 2016 si era sentito ripetere la chimera del “dov’era e com’era”. Da Norcia si può scendere lungo la Valnerina allo strazio di Sant’Eutizio e giù a Cascia e compiere una via crucis delle nostre identità lacerate. Ma percorrendo un’ancora sbrecciata via nursina s’arriva a Castelluccio che cumulo di brecce vigila il Pian Grande dove la natura – incurante degli umani – tornerà dar spettacolo. Saranno i giorni anche del nostro risveglio? Di certo la rovina del villaggio sarà ancora lì: poco s’è pregato, ma ancor meno s’è lavorato. Prologo al Pian Grande è il Pian Perduto. Lì il vento che precipita dal Vettore si fa gelido e impetuoso: quasi bolgia dantesca. E ben ci sta la dannazione! La nemesi è nel toponimo. E’ il tempo che s’è perso, è il senno disperso, è la misura del piano, inteso come progettare e fare, perduto. Rinasceranno le lenticchie che qualcuno ha seminato lungo il cammino verso Colfiorito, che è una via crucis lungo le stazioni dell’inefficienza, dell’indifferenza. A Colfiorito hanno messo a dimora le lenticchie e le patate rosse, ma nessuno va più a comprarle. Il virus – ecco la seconda morte – ha ibernato ogni contatto, ogni traffico e i contadini-ambulanti non s’affacciano più sulla vecchia via del Chienti. Segnalano con la loro assenza un dramma vero, di cui nessuno ragionerà. Qui il virus è l’isolamento, qui si morirà di consunzione demografica ed economica. Viene da considerare che con le ordinanze del Covid hanno chiuso i cantieri, anche quelli della ricostruzione che era più una proclamazione che un atto. Ma indica come dei paesi terremotati ormai nessuno si curi. Qui suona beffardo l’appello ossessivo, che maschera l’insipienza di chi governa: state a casa. Avercela una casa! Sono le Sae di cartongesso montate in ritardo e male, costate 1800 euro al metro quadrato, stie da polli dove i nostri vecchi consumano giorni d’ergastolo! Forse Plestia finì nello stesso modo: per consunzione e oblio. Fin dal Mille avanti Cristo lì vi fu civiltà, denaro e scambio sulle rive del lago di Colfiorito poi inghiottito dal carsismo. Oggi il carsismo dell’indifferenza sta inghiottendo ciò che resta. Tutto fermo anche nell’indagine archeologica, nella tutela del patrimonio paesistico-monumentale. E invece da lì e solo da lì potrebbe inverarsi una ripresa: raccontando la Storia, cercando radici, salvaguardando paesaggio soprattutto antropico. Ma come se nessuno lì abiterà? Forse giù a valle dovrebbero preoccuparsene. Anche una scampagnata ad Annifo, anche una risalita a Cancelli, anche una lenticchia a Colfiorito, anche un selfie (maledetti!) a Rasiglia sono in questi settimane di reclusione la nostalgia. Ma niente sarà più come prima dopo il virus: semplicemente perché quei luoghi dove affondano le nostre radici, offesi dal terremoto, rischiamo di seppellirli nel deserto della dimenticanza.
CARLO CAMBI