Il matrimonio futurista
Ero a cena in una vera osteria con il Barbiere di Stoviglia, quello che tiene bottega in via XX Settembre, quando scorrendo Facebook con il cellulare m’appare il seducente profilo della consorte futurista di uno stimato collega. In che senso Futurista? Nel senso marinettiano del termine, al punto che – si narra – il pranzo della loro cerimonia nuziale fu allietato da antipasti intuitivi, aereovivande, rose nel brodo solare ed elettricità atmosferiche candite. Io sono uno che rifugge i matrimoni dove non si servono pasta e fagioli, ma a questo mi sarei intrufolato volentieri. Non fosse altro per studiare i comportamenti dei nubendi e – perché no – anche quelli degli incolpevoli invitati toccati nell’epigastrio, che prima di essere ammessi alla bizzarra “confarreatio” hanno dovuto dare prova delle loro capacità creatrici, quanto ad abbigliamento e linguaggio convenzionale da adottarsi durante la cerimonia. Mi consola che un matrimonio, inteso come stato di fatto disciplinato nelle sue conseguenze dall’ordinamento giuridico e religioso, possa discostarsene “una tantum” aderendo al Manifesto Futurista, ancorché a disdoro di certe sane abitudini dello stomaco.
GIOVANNI PICUTI