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Il messaggio dell’arte

Mi fa visita un esperto d’arte dalle cui labbra pendo ogniqualvolta si compiace di spiegarmi, con attorcigliate parole, quella o quell’altra corrente contemporanea. “Mi raccomando” mi dice “non confondere l’arte contemporanea con quella moderna; benché i movimenti si possano riferire al modernismo, la prima pone alla sua base una combinazione dinamica di materiali, metodi, concetti e soggetti che sfidano i confini tradizionali. È diversa, eclettica, globale, avanzata. Si distingue per la mancanza stessa di un principio organizzativo: tipo le scatole Brillo di Andy Warhol, che bastarono a se stesse a divenire arte, quantunque fossero perfettamente riconoscibili dalle loro reali controparti”. Sortilegio delle parole, ma anche languore dello sguardo, che colgo mentre l’esperto sfiora con le dita allampanate la magia di alcune nature morte di Frappi in cui l’artista, obbedendo all’antico consiglio di Apelle, ritrae cocomeri fiammanti, gustosi brodetti di pesce, uova al tegamino e prosciutti non ancora avviati. All’improvviso mi sovviene che il Nostro è un mancato amatore della cucina, costretto da un’ulcera a una pallidissima dieta di latticini. Anche il pittore scruta il gastritico. S’è illuso voglia comprare una delle sue opere, così permettendogli di risanare il portafoglio. Ma l’altro non mostra – più in là di uno struggente anelito di sofferenza – di gradire i succulenti surrogati, limitandosi a circoscriverli nell’ambito di una non meglio storicizzata e inappagante “pittura gastronomica”.

GIOVANNI PICUTI

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