ok - Hangry Butterflies

La rinascita delle farfalle

Una nostra concittadina fra le promotrici di un grande progetto online contro i dca (disturbi del comportamento alimentare).

I latini non si annoiavano. Io mi annoio in latino non esiste. Per rendere la frase bisogna cambiare il soggetto; bisogna che soggetto diventi la noia. Poi tocca prendere un altro verbo e infine far diventare quell’io dell’italiano un complemento oggetto. Verrebbe fuori una frase del genere: taedium me capit. Tutta un’altra storia rispetto alla nostra lingua. Qui sono io che mi annoio; sono io che la noia ce l’ho dentro. In latino la noia mi tiene, mi prende, mi occupa. Forse mi assedia: ma sta fuori di me, non è me. La posso rimuovere, spingere via, allontanare. Ecco cosa ho pensato guardando Hangry Butterflies, il documentario preparato da Maruska Albertazzi, che in rete ha creato un presidio di primo supporto psicologico per ragazze e ragazzi con disturbi del comportamento alimentare (#dcarecovery su Instagram). L’anoressia è una bolla subdola e invasiva che prova a usurpare la vita, con la conseguenza drammatica che la persona finisce per coincidere con la malattia, per essere risucchiata nell’asfissia di un urlo senza voce: finisce per essere nella malattia. La letteratura sull’argomento è più che abbondante e il parere di chi scrive non può che essere incompetente e dozzinale. Io non sono neppure andato all’incontro di Bologna. Ho potuto visionare il materiale preparato dalla nostra concittadina Maria Tini, la quale, insieme ad Emma Donnini e Nicole Alba Pierangeli, è stata promotrice dell’evento ed è impegnata in prima persona nel progetto La rinascita delle farfalle. Eppure, sentendo parlare le ragazze ed i ragazzi riuniti in questo importante percorso di conoscenza di disturbi tanto gravi quanto diffusi, ho compreso che lo scatto in avanti per la valutazione e la risoluzione del problema è proprio questo: vivere con la malattia, ma non vivere nella malattia. Il vivere nella fa il gioco di certi parametri sociali che hanno avuto una responsabilità determinante nella formazione dei disturbi del comportamento alimentare. Il risultato prodotto è dolore e solitudine; progressiva scarnificazione della speranza. Non di rado rifiuto, anche da parte dei genitori stessi: rifiuto di dare una carta d’identità ad un male in cui conteggi di calorie e feroci cannibalismi sbigottiscono, impressionano, ammutoliscono al punto da condurre a disconoscere, a smentire, a dire che no, l’anoressia non c’è e se non c’è non è. Ma a me, ripeto, ha colpito molto sentir parlare una ragazza che è uscita da quella bolla infida e bugiarda. Mi ha colpito sentirla dire, rivolta ai giovani che la ascoltavano, di non aver ricordato come fosse stare senza la malattia, di aver squarciato la tossica placenta con la forza di una nuova nascita e di essere uscita perché al mostro «non dovete mai permettere di prendere chi siete». Drammatico, struggente e liberatorio questo grido ad essere, sbattuto in faccia alle anomalie e ai corto circuiti di una società guasta e pervertita, in senso vero, etimologico. E allora forse, di tante cose che mi hanno impressionato, quel vivere con è quella che mi ha percosso di più, con la sua non omessa difficoltà, la sua assenza di finzione, uno schiaffo, ma anche la certezza che sei fuori di me, che ti allontano sempre di più, che non mi tieni, che puoi tornare ma i tuoi momenti sono contati, ogni volta più brevi, più laconici, più ridotti. Polvere. Perché a un certo punto la crisalide si incrina; crepitii rigano il gelo. Uno scrocchio sordo e s’infessura la luce. Nel cielo che profuma di viole, sono tornate le farfalle. Affamate di vita.

GUGLIELMO TINI

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