“A votare non ci vo. Anzi sì”
Io stavolta a votare non ci vo. Anzi sì; alla fine ci andrò. E non per le esortazioni montanelliane, peraltro attualissime, a turarsi il naso ed andare, ma semplicemente perché in me la dimensione del dovere prevale su quella del diritto. Sempre; devi dunque puoi. Avevo anche pensato di andare con la circolare del ministero dell’Interno, la circolare 19 del 2013, quella in virtù della quale l’elettore può rifiutarsi di ritirare la scheda elettorale e far scrivere a verbale la sua dichiarazione di astensione. Però non mi garba che l’elettore venga sì conteggiato fra i votanti, ma che la scheda sia nulla. E quanto alla dichiarazione di astensione non penso che alcuno la leggerà. Quindi a votare per le regionali ci andrò, anche se l’annottare è tempestoso e non sai mai cosa ti aspetta veramente, poi. È come quando Dolabella, durante il tribunato della plebe, promise la cancellazione dei debiti ed ottenne disordine e confusione. Cicerone l’ha difeso più volte, a Dolabella, a lui che prima ebbe un consolato da Cesare e poi finì per trattare con il commandos dei Bruto & C. Infatti io Cicerone non l’ho mai digerito; ma mica per le cose che dice e per come le scrive. Chi gli sta dietro, a Cicerone, quando parla o scrive! È che con Cicerone non puoi mai stare sicuro. Anche se è inarrivabile a dire le cose, ne dice prima una e poi la nega. Ha detto sempre che la sua «esperienza di governo termina con questa» (all’incirca idi di marzo; come per noi un 15 marzo 2019, o giù di lì), ma poi rieccolo alleato con chi gli tirava pernacchie e non avrebbe inteso «favorire nessuna alleanza» con un potere stellare come il suo, una potenza pentasiderale. Così va il mondo. E capace che uno ci creda pure, quando dal pulpito la predica arriva dalla vena grossa che palpita, e il linguaggio s’incrina, una punta di scialorrea ma per commozione, per foga oratoria: «Li ho sconfitti due volte e non governo con loro!» (calende di febbraio, come dire ai primi del mese corto 2019). E allora diventa dura la questione, se poi ci si ritrova sotto lo stesso segno. I dubbi sono leciti: li avessi solo io, sarebbe qualunquismo e io magari sarò pure un qualunquista, perché non ho capacità di analisi politica. Io perfino sono incollerito ancora per la sanità, anche se non si deve generalizzare, non si deve parlare di sistema, non si deve parlare di colpe a pioggia e tutti i filistei. Ho capito! Se non si può neppure parlare! E comunque i dubbi restano. Le domande in un bell’articolo del Corriere di qualche mattina fa, mica le ho fatte io; le ha fatte chi ha esperienza politica e manageriale da vendere. E di là dal Rubicone temo anche chi vuole stupire, perché l’Umbria di stupore ne ha a bizzeffe e non ha bisogno di succedanei; leggo di un’area liberal-riformista, centrista, socialista e io, da qualunquista, ci trovo troppe –ista e mi ci perdo. Parole chiave: cambiamento, sviluppo e libertà. Anche i Gracchi ne parlavano, tempo fa. Qualcuno ci ha promesso che riavremo indietro speranza e futuro: con gli interessi? Ci vo a votare; per chi non lo so, ma ci vado. Tanto la questione che mi preoccupa di più, visto l’andazzo, è l’Italia, mica gli italiani. Gli italiani se la caveranno anche egregiamente, bravi come sono in quasi tutti i campi. Ma visto l’andazzo l’Italia è fritta.
GUGLIELMO TINI