“La luce del buio”: da Foligno a Los Angeles, l’arte “benedetta” di Eriis. La cantante: “Gianni Morandi mi suggerisce le canzoni da scrivere”
“Io trovo che la cosa più bella che un giovane possa fare è inventarsi un lavoro che corrisponde ai suoi talenti, alle sue aspirazioni, alla sua gioia. Io in qualche modo ho avuto fortuna perché ho fatto così. Lavorare per me era una sorta di copertura. Lo facevo con passione ma non era la mia ossessione. La mia ossessione era vivere, vivere a modo mio, vivere con queste grandi piccole gioie”.
Così scriveva Terzani, così si potrebbe riassumere la vita della folignate Valentina Mariucci, in arte Eriis: classe ‘88, posto fisso in banca, una laurea in Giurisprudenza macinata tra Bocconi e Harvard, nel 2011 decide di mollare tutto per seguire il suo cuore e dedicarsi a canto e recitazione. Una carriera nata quasi per caso, la sua, con un corso frequentato per riprendere ossigeno in un periodo buio ma che la porterà a calcare palcoscenici come il Teatro Princesse Grace di Montecarlo, ad essere scelta da Hollywood per scrivere colonne sonore, da Toto Cotugno per un album, da Mogol per un’antologia di poesie.
Un percorso difficile, lungo e a tratti doloroso di autoscoperta, accettazione e sacrificio,quello per coprire i costi dell’accademia, cui concorrono anche i proventi delle ripetizioni di inglese, una lingua che sarà il suo salvagente in tante occasioni. “All’inizio non riuscivo a parlare di questo mio cambio: la mia famiglia non mi supportava e io mi vergognavo. Ci ho messo tre anni per accettarmi. Poi una persona mi ha chiesto: se fossi sola al mondo, cosa faresti? E se tutto fosse possibile allo stesso modo, cosa sceglieresti? Questa cosa mi ha aperto la mente. Poi sono stata scelta per il mio primo spettacolo: interpretavo Eva Cassidy e i miei mi hanno vista per la prima volta. Alla fine dello spettacolo piangevano. Da allora tutto è cambiato: mio fratello è diventato uno dei miei punti di riferimento più importanti e i miei si sono attivati per portare lo spettacolo allo Zut. E i commenti della gente non erano più questa è matta ma questa è brava”.
Un talento che anche gli addetti ai lavori riconoscono senza difficoltà, con sceneggiature che piovono senza che Eriis le cerchi e con la stella hollywoodiana Fernandez che la vuole come protagonista per due spettacoli fino ad una nuova grande sfida. “Portare Anna Cappelli al San Vittore (un personaggio contorto, fragile e grottescamente omicida, ndr) non è stato facile – confessa – Mi ha provata recitare per i carcerati, in mezzo al loro caos. Alla fine dello spettacolo, però, il silenzio. Ho visto gli uomini del sesto raggio piangere, darmi la mano, ringraziarmi. Ero riuscita ad entrare nelle loro storie”. Una sintonia registrata anche dalle lettere che riceve dai carcerati e che la porterà ad insegnare teatro a fianco della sua regista, Elisabetta Vincenzi, e a portare il metodo Strasberg – di cui Valentina è unica formatrice in Italia – proprio nel sesto raggio del carcere, il più blindato. Un metodo potente di cui è depositaria grazie alla sua fluency in inglese e per la quale nel 2013 era stata scelta dall’Accademia come assistente e traduttrice di Lola Cohen, allieva dello stesso Strasberg. Un metodo per tutti, racconta, che lavora sulla scoperta autentica di sé stessi sospendendo il giudizio e che proprio tra i carcerati ha mostrato la sua forza. “Sogno di portarlo nelle scuole – confessa – per ora l’ho portato in Argentina. Presto sarò anche in Scozia”.
Un personaggio eclettico, Eriis, che spazia fino alla poesia, con quella consapevolezza di dover crescere tipica solamente dei grandi e di cui l’essenza è tutta racchiusa nel nome. “Eris mi è balzato in testa per caso. Quando ho scoperto che era la dea della discordia non mi piaceva più ma l’ho tenuto lo stesso e ho raddoppiato la i. Poi ho scoperto che con un’acca davanti, in swahili, aveva un significato bellissimo: benedetta”. E una benedizione, appunto, è quella che sembra attraversare la sua arte di cui lei, racconta, si sente solo messaggera. “Spesso mi sveglio di notte con in mente già le parole. La mia prima raccolta di poesie, La Luce del buio, è nata così. È come se fossero dei messaggi per persone che non conosco perché nascono con temi o parole a cui non penserei mai. È così anche per le canzoni: vivo col registratore accanto perché il più delle volte le sogno. Una volta ho sognato Gianni Morandi che me ne cantava una. Per questo mi sento fortunata, benedetta. Messaggera”.
Una missionarietà che non si può non percepire ascoltando la sua voce dolce graffiata di blues, decisa ma mai arrogante e che riesce a guidare sempre chi l’ascolta in uno spazio intimo e privato come testimonia il suo album di cover straniere firmato con the BoxRoom. “La mia naturale espressività è in inglese – spiega – anche per questo mi sto trasferendo a Los Angeles, che è sempre stato un grande amore, ma dove è anche normale fare quello che faccio”. E aggiunge: “È stato un percorso lungo trovare chi sono. Da piccola cantavo di continuo e chi avevo intorno mi chiedeva di smettere. Così per una vita mi convinsi di essere stonata. Mi iscrissi all’università ascoltando quello che dicevano gli altri invece occorre ascoltare molto se stessi. Ognuno di noi ha un talento che è come una luce sempre accesa. Spesso solo nel buio più profondo è possibile trovare il coraggio di riscoprirla. Tutta la mia arte parla di questo. Capire che in noi vive una forza indescrivibile. Una luce. La luce del buio”.
FRANCESCA BRUFANI