Fenomenologia delle dimissioni
Silla, lo sanno tutti, non era esattamente un esempio di strategia politica. Aveva sbaragliato la fazione popolare di Mario, sguinzagliando sicari a destra e sinistra (soprattutto a sinistra) e, per causa sua, l’evoluzione (l’involuzione?) dello Stato in senso oligarchico ebbe avvio inarrestabile ed irrevocabile. In Senato ci fu chi festeggiò: se vince lui, messaggiò più d’uno fra i plutocrati, vinciamo tutti, se perde lui, perde lui solo. I rumores narrano che sia stato lo stesso pensiero dell’Avvocato quando il Cavaliere decise di scendere in campo (poi l’Avvocato, in un’intervista ai tempi del Re Sole, negò). Eppure Silla, dopo dittatura e bisconsolato, diede le dimissioni. Anche Robespierre se le ricorderà, con i girondini in liquidazione, lui, primo eletto di Parigi alla Convenzione nazionale, ma fece lo gnorri e finì come finì. E queste furono le dimissioni di Silla: dovute all’idea di aver creato ormai un sistema in cui la nobilitas potesse perpetuarsi con serena impunità.
Poi vi sono le dimissioni che io definisco dei gentiluomini di Mark Twain, quello di Tom Sawyer. Questi signori, scriveva Twain, «guidano carrozze con tiri a quattro, per trenta o quaranta chilometri al giorno, in estate, perché un simile privilegio costa loro parecchi quattrini; ma, se venisse offerto loro un compenso per questa fatica, ciò la tramuterebbe in lavoro, e in tal caso darebbero le dimissioni». E queste non sono dimissioni che si addicano ad un politico, che per suo stesso etimo, il lavoro ce l’ha nel dna: e se non ce l’ha, direbbe Machiavelli, deve far mostra di averlo.
Il terzo tipo di dimissioni sono quelle per criterio di valutazione, cioè peggio che andar di notte, almeno dai tempi di Minghetti in qua. Sono le dimissioni che io chiamo alla Paetreus. Ve lo ricordate Paetreus? Il direttore della CIA costretto a dimettersi per relazione extraconiugale, svelata dall’FBI: quando si dice il fuoco amico. Il criterio per quelle dimissioni? Paetreus intratteneva libertine proposizioni con la sua biografa. Roba da nulla: una biografia deve potersi basare sulla conoscenza. In Italia il fatto (insulso) ebbe uno strepitoso commento, a firma dello straripante governatore De Luca: «Se si adottasse in Italia, diciamo, il criterio di valutazione della vita pubblica che adottano in America, qua rimarrebbero solo i bambini sotto i dieci anni e Pierluigi Bersani». Sui bambini ci metto la mano sul fuoco.
A quale dei tre tipi somiglino le non-dimissioni della presidentessa della Regione dell’Umbria, è impossibile dire. Se non ho capito male, l’undicesimo voto (quello della maggioranza assoluta, quello dello sgambetto) lo mette la presidentessa nella sua veste di consigliere, che quindi vota per se stessa. Del resto chi fa da sé fa per tre, come sapeva Bonaparte, con buona pace di tutti i nazareni del mondo, la cui prognosi per orticaria è di almeno un paio di settimane, a sentire lo statuto regionale (prima ancora dei medici; sai com’è, con l’aria che tira). Del resto la presidentessa è stata chiara: «Se mi dovessi attenere al codice etico del Pd, dovrei attendere mesi di legislatura». Come dire: quando dimettermi, lo decido io. Non me lo dicono né il commissario Montalbano, né gentilissimi presidenti o gentileschi.
Sono dimissioni che si pongono fra l’immortale e ferrosa Thatcher, perché «casa è dove si va quando non si ha niente di meglio da fare», e il munifico Allegri: «Non mi è mai passato per l’anticamera del cervello di rassegnare le dimissioni, soprattutto perché, se per qualsiasi cosa la colpa è dell’allenatore, allora resto per fare il capro espiatorio». Allegri, dico: che infatti si chiama Massimiliano. Come Robespierre.
GUGLIELMO TINI