Tradizioni, radici e futuro. Ecco l’Almanacco Barbanera
L’appuntamento con Feliciano Campi è nella sua proprietà, dove ha condensato la vita di editore e raccolto gli archivi della Fondazione Barbanera 1762, consacrata allo studio e alla valorizzazione della cultura almanacchistica. Dicono di lui che è un bon vivant, colto, amante dell’arte, delle tradizioni, del giardino e dell’orto. È proprio nell’orto che lo incontro con sua moglie Andrea e Maria Pia Fanciulli, il suo braccio destro. Il sinistro è Luca Baldini. È nell’orto che avremmo dovuto registrare l’intervista se la prima neve del nuovo anno ce lo avesse permesso. Quando lo vedo inizio a declamare da lontano: “Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?”. Feliciano sorride, mi dà il benvenuto e mi introduce in un luogo incantato che mi sollecita il ricordo di un mondo a cui mia madre mi aveva iniziato fin da piccolo. Era in cucina che a gennaio – con gesto solenne e nella speranza di un futuro migliore – appendeva il celebre calendario da parete, stampato per la prima volta a Foligno nella metà del Settecento. Non c’era giorno che non lo consultasse per conoscere le previsioni meteorologiche, le fasi lunari, attingervi consigli per l’agricoltura, per l’economia domestica, confrontarvi le ricette, interpretare candidamente i proverbi e leggermi gli aneddoti. Quel calendario diventò il mio primo abecedario. È anche per questo che mi sono prefisso di intervistare l’erede di una tradizione antichissima collegata alla storia tipografica e commerciale di Foligno, da sempre luogo di produzione di almanacchi e lunari. Feliciano parla con voce pacata e profonda. Mi colpiscono la parsimonia con cui la usa, il sorriso, lo sguardo puro, le mani curate che contrastano con il peso solenne delle sue parole.
Anzitutto, signor Barbanera, vorrei chiarire una cosa: malgrado la leggenda che la circonda, di lei so ben poco. So che vive a due passi da Spello e tre da Foligno. Ora so anche che mi ha accolto con classe in un giardino che fa invidia a quello di Villa Fidelia.
No, assolutamente, nessuna competizione con la meraviglia architettonica e paesaggistica di Villa Fidelia. Anche perché sarebbe come tradire lo spirito e la filosofia del Barbanera. Le nostre pubblicazioni, giunte alla 257ª edizione, hanno cercato, e trovato, un luogo che potesse esprimere il legame profondo con la storia di un Paese che le ha fatte proprie e amate. Ed eccoci oggi qui, nelle campagne di Spello, in un bachificio settecentesco che si erge al centro di un orto giardino d’agricoltura. Perché è questa la vera tradizione di Barbanera. Quella che corre nelle pagine di un “libro” del tempo che ha scandito il lavoro e la quotidianità di generazioni di italiani. Per questo chi viene da noi, nella sede dell’Editoriale Campi e della Fondazione Barbanera 1762, prima di giungere in redazione si trova ad attraversare l’orto, tra cardi e cavoli in inverno, fiori, peperoni, pomodori in estate. Si entra così nelle stagioni, nel tempo ciclico di Barbanera, nel cerchio dell’anno – e veri cerchi concentrici disegnano l’orto -, nel rapporto cielo terra, nelle fasi della Luna. Solo dopo pochi passi si arriva al giardino invaso dai profumi delle aromatiche, da quello delle rose nella bella stagione e dal pergolato di vite che offre ombra e frutti. Insomma, è un po’ come sfogliare le pagine dell’Almanacco, dominate dal tempo passato, presente e futuro.
A proposito di futuro. Crede che sarà felice quest’anno nuovo? E non mi risponda con un leopardiano: “Oh illustrissimo sì, certo”, perché sarei costretto a domandarle: “Come quest’anno passato?” e lei sarebbe indotto a mentirmi dicendo: “Più, più assai”.
In un certo senso la risposta l’ha già data lei. Il venditore di almanacchi leopardiano è appunto un venditore e fa il suo lavoro. Nella storia editoriale e culturale dell’Astronomo e Filosofo degli Appennini c’è ben altro. Ci sono la fiducia e l’affezione di lettori che hanno trovato e tuttora trovano nelle sue pagine buone pratiche e un’etica del fare che va nella direzione contraria a quella di un semplicistico ottimismo. Possibile mentire con i santi, i proverbi, con le stagioni o le fasi della Luna? Poi è vero, Barbanera augura da sempre un Anno di Felicità, ma è un modo per infondere l’energia utile al vivere bene. Per se stessi, gli altri e la salute del Pianeta.
Prima di farle visita e di aver ascoltato dalla sua viva voce l’avvincente descrizione di tutto ciò che ruota intorno al Barbanera, mi sembrava quasi impossibile che nel ventunesimo secolo – all’epoca delle previsioni basate sui mezzi tecnologici e sulle conoscenze scientifiche – ci si dovesse affidare ad un astronomo degli Appennini. Ora mi sono ricreduto.
Ma quella di Barbanera possiamo definirla conoscenza scientifica. Sono secoli di esperienza distillata dal tempo e da generazioni di facitori di almanacchi, di esperti. Ancora oggi è così. Consigli e informazioni si sono affinati nei secoli. E sono pure mutati con il cambiare dei lettori. Intendere la tradizione Barbanera come qualcosa di sempre identica a se stessa sarebbe un errore. Ci muoviamo nel tempo e con il tempo. Altrimenti quello che diciamo e scriviamo non servirebbe più a nessuno, sarebbe pura curiosità antiquaria. E invece siamo uno stile di vita.
Quindi l’almanacco più celebre d’Italia, è memoria e specchio dei tempi, conserva e tramanda da una generazione all’altra notizie e testimonianze. I millennials manifestano sempre più l’esigenza di avere una storia, un’identità condivisa su cui costruire nuove felicità. Che spazio riveste Barbanera nella dieta comunicativa dei nativi digitali?
Ci siamo anche noi. Siamo in rete da molti anni, più di venti. Oserei quasi dire che il vegliardo Barbanera lo abbia fatto prima di altri. E ci siamo perché proprio nel mare magnun del web, dove si trova tutto e il contrario di tutto, Barbanera può dire la sua come voce autorevole in alcuni specifici ambiti. Provi a cercare online la fase di Luna con cui seminare qualcosa. Troverà notizie discordanti. E allora affidarsi a Barbanera potrebbe essere la soluzione. E poi le dico anche che il bisogno di radici, di una identità condivisa, è esigenza di tutti. Anche dei millennials. Si tratta solo di raggiungerli e di parlare il loro linguaggio. Il fascino ce lo mette poi il nostro Astronomo. C’è un filo rosso che percorre da sempre la tradizione Barbanera mai andato soggetto a mode. È la capacità di ascoltare il respiro della Terra, di “leggere” i segni del cielo, per uno stile di vita detto oggi slow ma che vive nella ricerca di un’armonia tra gli esseri viventi, la natura, i cicli del tempo. Al punto di affidargli l’umana felicità.
Molto prima dell’avvento dei social media il genere letterario dell’almanacco ha contribuito a creare la cultura e l’identità di una nazione intera. Oggi il processo di trasformazione della contemporaneità ha cambiato molte cose. Che valore attribuisce alle radici?
Proprio come in un albero, le radici hanno la funzione di nutrire la crescita, di tenerci saldi alla terra per poter guardare liberi verso il cielo, esprimerci. E non intendo con questo vagheggiare tempi passati. Proprio dai social ci arrivano testimonianze di un forte radicamento, anche oggi, in un mondo tradizionale. Per questo a fronte di una dimensione contemporanea che galleggia nell’eterno presente, instabile e molto insicura, la tradizione dà certezza, il passato rassicura, che non vuol dire tornare indietro, ma, appunto, la necessità di radici.
Mi corregga se sbaglio. Oggi il senso delle pubblicazioni Barbanera è anche quello di combattere contro un sentimento di generale disperazione derivante dalla convinzione che l’esistenza non abbia alcuno scopo, per cui non v’è necessità di leggi e regole. Barbanera dimostra l’esatto contrario. Non fosse altro per questa capacità di rinverdire ogni volta valori fondanti che appartengono in ogni tempo all’uomo, alla natura, al mondo.
Oggi più che mai, anche a seguito dell’importante riconoscimento Unesco che ci ha dichiarati con la Memoria del Mondo Patrimonio dell’Umanità, Barbanera si propone come una storia, una tradizione e uno stile di vita. Nelle sue pagine corre un buon vivere che tiene conto di tutte le sfumature del nostro tempo, positive e non, per le quali suggerisce spunti, strade possibili, ma non certo leggi o regole. Oggi quello che ci sta più a cuore è favorire la consapevolezza di una vita sostenibile, e non solo in senso ambientale. La sostenibilità culturale è un’altra sfida che appartiene a Barbanera. E non solo oggi. Siamo i primi a sorprenderci nel leggere in almanacchi dell’Ottocento parole dedicate all’importanza di un’armonia tra il Cielo e la Terra, tra gli individui e la Natura. Ecco, se di legge dobbiamo parlare, è questa: l’attenzione all’altro, sempre.
Consultare Barbanera significa viaggiare su un altro universo valoriale, i lettori proiettano su di esso la loro identità. Possederlo vuol dire anche testimoniare la propria buona coscienza verso l’ambiente. Azzardo a dire che il senso del Barbanera è autenticamente glocal, cioè che si concentra contemporaneamente sulla dimensione planetaria e su quella locale. Condivide quest’affermazione?
Sì, certamente. In fondo le edizioni Barbanera sono nate in Umbria, una terra ancora oggi nota al mondo per le sue tradizioni, l’ambiente, il paesaggio. Per la qualità della vita. E sono convinto che queste nostre edizioni debbano molto al loro essere rimaste qui, dove tutto questo si vive quotidianamente. Dove viviamo il tempo delle stagioni, dove amiamo sorprenderci alla vista di un infuocato tramonto, e dove la serenità delle relazioni umane ci permette di parlarne con cognizione di causa nelle nostre pagine. E di confrontarci con il mondo, attraverso il web o nuovi progetti. D’altra parte l’umanità è varia, ma i valori fondanti sono un tratto comune. E Barbanera questo lo sa dal 1762!
La ringrazio signor Campi, mi sembra di aver capito che l’umanità non ha perso il lunario. Ora sono più tranquillo.
GIOVANNI PICUTI