Non chiamatemi eroe
Intervista a Paolo Borrometi, giornalista antimafia da 4 anni sotto scorta, a Foligno per parlare di legalità ed Europa. Il giornalismo? Un dovere, non un atto eroico. Il racconto dell’udienza privata con Papa Francesco.
“Bisogna rivendicare il ruolo del giornalismo. Perché la coscienza si forma con la conoscenza e quindi, inevitabilmente, con l’informazione. E l’informazione autentica e reale, in un momento in cui si vuole in tutti i modi disintermediare, arriva proprio dal ruolo fondamentale e dal lavoro certosino che deve fare il giornalista. Ecco perché penso che a maggior ragione oggi, nel momento in cui c’è una crisi dei valori dell’Unione Europea, il giornalismo possa e debba essere utile per analizzare i fatti”.
Paolo Borrometi, collega sotto scorta da 4 anni minacciato dalla mafia e giunto a Foligno per parlare di legalità ed Europa venerdì scorso a Palazzo Trinci, mette al centro del dibattito il ruolo del giornalismo. Un mestiere sotto accusa, temuto e odiato non solo dalle mafie ma anche dal Potere. Un mestiere che oggi in tanti vorrebbero cancellare, svilire, sminuire. Un mestiere da svolgere seguendo il più alto senso del dovere, fin oltre le minacce di morte. Un lavoro insostituibile che – attraverso le parole di Borrometi – rivendica la sua centralità nella società civile.
Lei è un testimone eccellente del giornalismo di prima linea. Da quattro anni vive sotto scorta. Le chiedo: se ne è mai pentito? Come vive la sua quotidianità?
Nel mio ultimo libro che si intitola ‘Un morto ogni tanto’, edito da qualche settimana da Solferino libri, racconto proprio questo: come non ci possa essere alcun tipo di pentimento perché non c’è nessun tipo di eroismo. Un giornalista, come un imprenditore, un sacerdote, un magistrato, non ha coraggio. Ha solamente un ruolo da tenere alto, quello che deriva dal fare unicamente il proprio dovere. Il giornalista ha la responsabilità di informare, quindi non può che raccontare quello che vede con i propri occhi. Ecco perché non ci può essere nessun pentimento. Ci può essere una enorme preoccupazione, c’è tanta, tanta paura per ovvie ragioni, però c’è la voglia di continuare a fare solo e unicamente il mio dovere.
Lo scorso aprile è stato ricevuto in udienza privata dal Papa: ci racconta quell’incontro?
È stato un incontro meraviglioso, io l’ho definito come una carezza al cuore. Seguiva di appena poche settimane quel drammatico attentato che doveva essere organizzato nei miei confronti e nei confronti della mia scorta; un attentato con un’autobomba nel quale a morire dovevamo essere noi sei: io e i ragazzi della mia scorta. Il Santo Padre per questo motivo mi ha dato l’onore di chiedermi l’incontro; oltre quaranta minuti di conversazione fittissima, di domande, di una conoscenza straordinaria del Santo Padre della mia storia e dei fatti che avevo tentato e che tento di raccontare. Ovviamente non scenderò nei dettagli privati di quell’incontro, anche per rispetto della fiducia del Santo Padre; però posso dire che è stato fondamentale per continuare ad andare avanti, pur con la paura di quelle intercettazioni, di quell’attentato con autobomba così vivo e così attuale, purtroppo. Mi ha donato la consapevolezza, così come mi ha detto il Papa, di dover fare solo e unicamente il mio dovere, il nostro dovere.
Da collega le chiedo: qual è oggi la nostra responsabilità nel coinvolgere le nuove generazioni? In che modo possiamo convincerli del fatto che la mafia va conosciuta prima e combattuta poi?
Intanto partendo dal presupposto che i giovani non sono solo il futuro di questo Paese, ma sono soprattutto il suo presente. Dunque facendo loro capire che la responsabilità è qualcosa che va vissuto nel quotidiano, non rinviandola a domani. Non la mafia ma le mafie sono all’interno delle nostre vite. Non solo ogni tanto, quando sparano: piuttosto anche e soprattutto quando fanno affari. Le mafie oggi influenzano e tentano di influenzare drammaticamente il quotidiano di ognuno di noi. Lo fanno – ad esempio – con i prodotti dei frutta e verdura che abbiamo ogni giorno sulle nostre tavole, come racconto nel mio libro e come cerco di spiegare ai ragazzi. Perché oggi occorre esercitare un consumo critico, delle scelte critiche o, meglio, bisogna fare delle scelte. Non ci si può più girare dall’altro lato, perché il futuro e soprattutto il presente passano attraverso le scelte di ognuno di noi. A maggior ragione dei nostri ragazzi.
FEDERICA MENGHINELLA