LA POLITICA A SPIZZICO
È difficile non essere d’accordo con singole affermazioni delle varie forze politiche italiane. Quando Salvini osserva che sugli immigrati non regolari c’è stata sì un’iniziale accoglienza, ma non ci sono stati integrazione socio-culturale e inserimento lavorativo dice una cosa vera. Magari si scorda di ricordare che le industrie e i caseifici del nord sono mandati avanti da immigrati e che, tra qualche anno, essi saranno ancor più necessari. Ma la sua denuncia sull’oggi è assolutamente fondata. Quando Luigi Di Maio denuncia l’aumento delle disuguaglianze sociali ha perfettamente ragione. Magari non considera il fatto che la proposta del reddito di cittadinanza ha fin troppe controindicazioni rispetto alla motivazione a lavorare della gente. Però le disuguaglianze esistono e sono arrivate a livelli insostenibili. Quando Silvio Berlusconi chiede di abbassare le tasse fa felice quasi tutti. Magari non spiega come si farebbe poi a mantenere l’attuale livello dei servizi socio-sanitari e che forse si salverebbero solo i ricchi. Ma che in Italia il carico fiscale sia troppo alto è fuor di dubbio. Quando Matteo Renzi indica nelle imprese innovative la chiave di svolta per il futuro dell’Italia è sicuramente nel giusto. Magari si preoccupa poco di dirci che fare nel frattempo dei lavoratori licenziati delle aziende tradizionali. Ma quella suggerita da Renzi non può che essere la prospettiva di cui abbiamo bisogno.
Ma allora, se tutti hanno ragione, dove sta l’inghippo? In quella che abbiamo chiamato “politica a spizzico”. Ovvero una politica in cui si sparano tante ricette a ruota libera – qua e là perfino azzeccandoci – senza tenere conto del significato d’insieme delle varie proposte. È come mettersi a lavorare sulle tessere di un mosaico, senza avere abbozzato prima il profilo finale auspicato per lo stesso mosaico.
Poi, improvvisamente, arriva il momento in cui i nodi vengono al pettine. E il momento viene quando gli investitori internazionali smettono di sostenere il debito pubblico italiano o concedono prestiti a tassi di interesse più alti; quando le risorse interne non bastano più a finanziare i piani di spesa; quando l’Ue decide che noi siamo fuori dai parametri concordati e ci affibbia multe o ci lascia soli.
Sia chiaro: è possibile, se non necessario, lottare per cambiare l’attuale identità neo-liberista dell’Ue, della WTO e della Banca Mondiale. Ma per farlo c’è bisogno di avere le idee estremamente chiare sulle finalità che si intendono perseguire, sui sacrifici che si è disposti a sopportare, sulle alleanze da cercare, insomma su una visione condivisa e su un progetto organico.
In Italia oggi non mancano le ricette “a spizzico”. Quello che manca in tutti è appunto la visione d’insieme, una strategia per il futuro del paese. Manca alla Lega di Salvini, cui non basta confidare in una equivoca complicità con Putin. Manca al Movimento 5 Stelle, che in nome di una democrazia naif – ma in realtà egemonizzata dai padroni della piattaforma Rousseau – invia molto disinvoltamente alcuni dilettanti allo sbaraglio. Manca in Berlusconi, disperatamente attaccato ad una strategia di mera sopravvivenza. Manca nel Pd di Renzi o di Martina, perché continuano a litigare tra loro, senza porsi il problema di aprire finalmente un dibattito su un progetto serio per l’Italia che non lasci fuori nessuno.
È inevitabile allora che sia la società civile a dover ricordare a questi politici che cosa voglia dire essere all’altezza del ruolo di autorevoli “rappresentanti del popolo”.
ROBERTO SEGATORI