PALAZZO VALLATI-MONTOGLI-GUIDUCCI A FOLIGNO
Sabato 24 marzo gli alunni della Scuola Media “Carducci” hanno guidato i visitatori all’interno delle splendide sale di Palazzo Vallati, contribuendo attivamente all’importante iniziativa nazionale delle “Giornate di Primavera” promosse dal FAI. Il palazzo è un elegante edificio signorile situato all’angolo tra via Gramsci (l’antica via dei Mercanti) e via Palestro (l’antica via degli Ammaniti). Di proprietà della famiglia Vallati – e così ricordato anche da Durante Dorio, nel suo libro del 1638 sulla signoria Trinci – lo stabile venne ceduto nel 1667 ai Montogli, la cui presenza determinerà la nuova denominazione di un tratto della via dei Mercanti. Oggi è di proprietà della famiglia Guiducci. La realizzazione della dimora gentilizia risale alla prima metà del Cinquecento, per volere del giurista Leonardo Vallati: Ludovico Jacobilli, in un suo manoscritto dedicato agli uomini illustri di Foligno, riporta che i Vallati risiedevano nel rione degli Ammaniti e che Leonardo di Pietro Marino acquisì il cognome Vallati e fece costruire un grande palazzo. In effetti l’architrave della finestra di sinistra sulla facciata di via Gramsci presenta l’iscrizione LEONARDI VALLATI VALLUM. Si tratta del Leonardus de valle, Fulginas, della Provincia Romana, che – come riporta Luigi Sensi – risulta iscritto all’Università di Perugia in data 7 febbraio 1511. Sempre Ludovico Jacobilli riferisce che Leonardo nel 1533 fu avvocato di Rota a Perugia e nel 1540 fu eletto giudice a Firenze; morì nel 1556. Sul lato di via Palestro si apre un maestoso portale recante in alto lo stemma della famiglia Vallati (serto su monte di tre cime su toro nascente in cimiero). Sull’architrave di legge A DOMINO FACTVM EST ISTVD ET (“Questo [palazzo] è stato fatto dal Signore e…”). Ai lati si vedono due clipei scolpiti con dei delfini tra le onde avvinghiati ad un’ancora, forse allusione ad onori militari conseguiti in mare da qualche membro della famiglia. Un bugnato d’angolo a “cuscini”, formato a monoliti di travertino che diminuiscono di dimensioni verso l’alto, funge da raccordo tra le due facciate. Il prospetto su via Gramsci è definito da un portale, affiancato da finestre con grate in ferro, architravate e poggianti su mensole. Sull’architrave della finestra a sinistra del portale, come abbiamo visto, è inciso il nome di Leonardo Vallati, mentre in quella a destra si legge VIGILANTIBVS ET NON DORMENTIBVS. La frase è tratta dal motto guridico Vigilantibus et non dormientibus iura succurrunt (“Il diritto viene in soccorso di coloro che restano vigili, non di coloro che dormono”). Alla base delle grate si vedono due piccole tartarughe, simbolo di fortuna e longevità. Questo portale è costituito da un solo arco, senza alcun’altra struttura che ne sottolinei l’importanza. All’edificio si accede da un ingresso coperto con volta a botte e pavimento in leggera salita, che conduce alla scala d’onore e ad una corte a pianta quadrata, su cui si affacciano prospetti di pareti finestrate e di portici e loggiati. Come osserva Luciano Piermarini, nel suo insieme il palazzo presenta le caratteristiche di un edificio del primo Cinquecento romano. In particolare si notano strette affinità con i progetti realizzati dall’architetto Antonio di Bartolomeo Cordini (più noto come da Antonio da Sangallo il Giovane) e dai suoi stretti collaboratori. L’esempio più vicino è costituito da Palazzo Baldassini, costruito a Roma nel 1519. Nei primi decenni del Cinquecento a Foligno fu avviata una riqualificazione della città che conobbe un particolare impulso negli anni in cui il cardinale Tiberio Crispo ricoprì il ruolo di legato pontificio per Umbria, cioè dal 1546 al 1548. In questo periodo fu ridefinita la Piazza Grande (attuale Piazza della Repubblica) e furono ridisegnate alcune vie, tra cui proprio via dei Mercanti. In questi anni Antonio da Sangallo il Giovane disegna il progetto della cupola della Cattedrale di San Feliciano e promuove i lavori di ristrutturazione del Palazzo Comunale e di Palazzo Trinci. Antonio da Sangallo il Giovane aveva stretti contatti con Foligno, dove giunse con diversi collaboratori ottenendo la cittadinanza folignate. Secondo Luciano Piermarini, il progetto di Palazzo Vallati si deve ad uno di questi collaboratori, come Pietro Rosselli o Giovanni Mangone da Caravaggio.
Il fatto che Leonardo Vallati, cioè colui che ha fatto costruire il palazzo, fosse un insigne giurista spiega il soggetto della decorazione pittorica presente in una sala al piano terra, a sinistra dell’ingresso su via Gramsci: qui si vedono tre lunette con i ritratti di tre giuristi dell’Università perugina: Bartolo da Sassoferrato (1314-1357), Baldo degli Ubaldi (1327-1400) e Alessandro degli Ubaldi (del quale Jacobilli ricorda che floruit nel 1490). Le altre lunette sono vuote, ma probabilmente nel progetto dovevano essere decorate e formare un ciclo pittorico simile a quello che si vede nella cosiddetta Sala dei Legisti di Palazzo Baldeschi a Perugia. Qui sono conservate diciannove lunette dipinte con ritratti di giureconsulti e prelati, probabilmente commissionati da Licurgo Baldeschi (il nipote di Pietro che fece costruire il palazzo) verso la fine del XVI secolo; i dipinti sono attribuiti a Silla Piccini e Pietro Racanelli. Nella stanza con le tre lunette di Palazzo Vallati si notano anche dei raffinati elementi architettonici lapidei (come le colonnine e le mensole poste ai lati della finestra), appartenenti ad edifici quattrocenteschi inglobati nel palazzo. L’elegante architrave della porta di ingresso a questa sala presenta un’iscrizione sull’importanza di analizzare a lungo prima emettere un giudizio VIRTVS LENTA EST ET OMNIVM PERCVN/CTATRIX ANTE IVDICAT QVAM INCIPIAT (“La virtù è lenta e indagatrice di tutte le cose, valuta prima di mettersi all’opera”). Si tratta di una frase che, con alcune varianti, ricorre in molti commenti a testi di diritto canonico, dei secoli XVI e XVII, per sottolineare il fatto che i giudici non devono essere precipitosi nell’emettere le loro sentenze. La fonte originaria a cui si ispirano questi testi giuridici è probabilmente Sant’Ambrogio (Epistola 67). “Velox enim est iniquitas (…) lenta autem virtus omnis et diuturna cunctatrix, ante iudicat et adorienda inspicit”. Nell’architrave che immette nella sala più interna si legge una frase sull’integrità morale del giudice: NE VMQVAM IVDICIVM AD / GRATIAM TRAXERIS (“Non emetterai mai giudizio per un favore”). Il portale che si trova di fronte all’ingresso della sala con le lunette dipinte reca un’iscrizione che suggerisce di non parlare se non di ciò che si conosce bene: TV BENEDICES SI NIHIL DIXERIS/ NISI QVOD BENE SCIERIS (“Tu dirai bene se non parlerai di nulla se non di ciò che conosci bene”). Altre due iscrizioni sugli architravi delle porte al piano terra sono: DIMIDIVM EST QVASI TOTVM (“La metà è come la totalità”); VALLATO INDVLGENS PATRIA SAXA DEDIT (“La patria benevola donò le pietre [per costruire il palazzo] a Vallato”). In quest’ultimo caso il riferimento è probabilmente al fatto che, per costruire il palazzo, Leonardo Vallati ottenne il permesso da parte della città di Foligno (la sua “patria”) di utilizzare materiale lapideo proveniente da edifici preesistenti, anche di epoca romana: e in effetti, come sottolinea Luigi Sensi, molti blocchi al livello del piano stradale mostrano di essere di recupero; tra questi vi era anche il frammento di un’epigrafe romana dove veniva ricordato un personaggio che fu tribunus militum e pontifex; l’iscrizione oggi è conservata nel Museo Archeologico di Foligno. Una volta percorsa la scala d’onore, si accede ad un ampio salone, con copertura ad unghie e lunette, sostenute da peducci con eleganti capitelli. A destra la prima porta introduce in quello che ora è un vano di passaggio, ma che in origine doveva essere la cappella palatina: su una parete infatti si vede un interessante affresco raffigurante la Natività, e, in un vano attiguo, un bel mobile da sacrestia. L’affresco è opera di un anonimo artista locale della prima metà del Cinquecento, appartenente alla cerchia di pittori influenzati dall’arte di Giovanni di Pietro detto lo Spagna (a sua volta seguace di Pietro Vannucci detto il Perugino). Alcune affinità si individuano, a mio giudizio, con un affresco che si trova in un’edicola viaria ad Uppello, datato 1537. Altra stanza del piano nobile è la cosiddetta Sala degli Imperatori, con decorazioni sette-ottocentesche: sulla volta si vedono quattro piccoli busti di quattro imperatori romani: Augusto, Tiberio, Nerone e Tito, all’interno di una raffinata decorazione a grottesca su fondo bianco, con aggiunta di elementi paesaggistici.
EMANUELA CECCONELLI