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Ex-ONPI: tocca anche a noi?

In un recente numero della Gazzetta ho prospettato ai lettori lo scenario che si stava creando, in merito all’assistenza agli anziani, nel mondo e in particolare in Europa: multinazionali che investono sulle case di riposo per anziani. Il capitale investito in questo settore rende al netto quasi il 5%! Qualche lettore storse la bocca pensando che queste fossero cose europee e che nulla avevano a che fare con la Gazzetta…
Eccoci serviti. La stampa quotidiana locale di domenica 8 aprile riporta la notizia che la Casa di riposo pubblica per anziani più famosa a Foligno, Casa Serena, meglio conosciuta come ex ONPI, sarà ristrutturata con aumento dei posti letto disponibili e diventerà una via di mezzo tra struttura pubblica e privata.  Stando a quanto riporta la stampa, la proprietà dell’immobile resterebbe pubblica. Privata sarà la sua ristrutturazione e il suo ampliamento, con aumento dei posti letto, e la gestione. Gli introiti che ne conseguiranno (le rette che gli anziani dovranno pagare, direttamente o indirettamente, cioè attraverso il denaro dello Stato e delle famiglie), saranno appannaggio, per un numero di anni da determinare, della Società che avrà accettato il contratto in questione, avendone calcolato, ovviamente, la resa. Fatti quattro calcoli l’investimento dovrà essere plurimilionario e di converso gli anni di gestione privata e quindi di riscossione delle rette saranno, secondo calcoli “spannometrici”, molti…
È impertinente chiedersi se i calcoli che erano stati riportati dalla Gazzetta (tratti dal Sole 24 Ore), circa il rendimento dell’investimento delle multinazionali in materia, siano applicabili anche all’operazione che si prospetta per la nostra Casa Serena? Non c’è nulla di male, ovviamente, nell’operazione, ma viene spontaneo chiedersi se cedere la cura alla persona ad una società “profit” non sia in contrasto con la filosofia portante (o di quello che ne resta) del Servizio Sanitario Nazionale. Infatti se l’intervento del privato sembra logico e quasi obbligatorio quando si tratta di lavori che per la sanità non sono il nocciolo duro della sua “missione” (per es. la confezione dei pasti, la manutenzione del verde, il lavaggio della biancheria, etc.), altra cosa è quando il privato interviene direttamente nella cura alla persona. Non è la prima volta che questo avviene ma, come le bombe durante la guerra, un conto è sentirle da lontano e un conto da vicino…
Viene allora da chiedersi: sono prove tecniche di altre assunzioni di carichi assistenziali ancora più vicini al nucleo duro della ragion d’essere del Servizio Sanitario Nazionale? Qualche avvisaglia già si è da tempo intravista con un “privato” che avanza sempre più velocemente con offerte di prestazioni specialistiche ad attesa “zero” e a costi di poco superiori al ticket pubblico. Da tempo una classe dirigente, politici e tecnici, non ha compreso che staccare, anche se gradualmente, l’ossigeno a questa “colonna vertebrale” del pensiero (sia laico, sia cattolico) in tema di diritto alla salute, voleva dire avventurarsi verso i sistemi assistenziali assicurativi di tipo americano che (prima della Riforma Obama) lasciavano (e ora rischiano di tornarci se la controriforma Trump passerà) quasi 40 milioni di cittadini degli USA senza alcuna copertura.

DENIO D’INGECCO

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