Ha vinto il populismo. Ma non è solo antipolitica
Alle ‘Politiche’ del 2013 la Lega a Foligno raccolse 182 preferenze alla Camera e 166 al Senato, in entrambi i casi lo 0,55%. Un po’ meglio alle ‘Europee’ del 2014, 759 voti, pari al 2,55%. Alle consultazioni del 4 marzo scorso ha ottenuto 6.263 voti alla Camera (20,26%) e 5.840 al Senato (20,31%): un incremento di circa il tremilacinquecento per cento, avete letto bene. Il M5S nel 2013 si attestò intorno al 28% tra Camera e Senato, mentre oggi guadagna leggermente e arriva intorno al 29%; alle ‘Europee’ conquistò il 20,74% (6.184 preferenze). Il PD nel 2013 prese 9.321 voti alla Camera (28,31%) e 9.457 al Senato (31,11%): oggi sono diventati 7.215 alla Camera (23,34%) e 6.893 al Senato (23,97%). I cinque candidati che aveva all’uninominale, Leonelli, Bocci e Damiano per la Camera, Giulietti e Mignozzetti per il Senato, non hanno raggiunto le stelle, ma quante ne hanno viste… Se poi si pensa che alle ‘Europee’ del 2014 a Foligno votò per il PD il 45,43% degli aventi diritto pari a 13.544 voti, bisogna aggiungere altro? Sì, drasticamente ridimensionate anche le preferenze per Forza Italia: dal 20-21% al 12% circa.
I numeri stanno lì, freddi e impietosi. Per la Lega si tratta di una crescita inimmaginabile e difficilmente ipotizzabile con queste proporzioni, per i Pentastellati di una conferma con ulteriore incremento positivo. Quella del PD è una vera e propria débâcle senza precedenti: se il partito di Renzi piange, quello di Berlusconi non ride, ma è una magra consolazione.
Qui da noi vince chi non è mai stato ai posti di comando. Si è affermato chi ha fatto leva su un PIL umbro in deciso decremento, che negli anni 2007-2015 ha subito una riduzione del 15,7%: in Italia solo il Molise ha avuto un peggior peggioramento. Ha stravinto chi ha cavalcato il malcontento per il lavoro che non c’è, chi ha puntato il dito contro un centrosinistra reo, a detta degli accusatori, di aver creato e ricreato potere grazie a un’economia basata sul pubblico impiego e sul controllo delle vie di accesso a quest’ultimo. Si è aggiudicato valanghe di voti chi ha assicurato ‘primazia agli autoctoni e sbarramenti agli invasori’: chi ha messo al primo posto gli italiani (a dire la verità sempre più attempati e sempre di meno…, ma poco importa, pur sempre preesistenti!). Chi ha demolito i governanti, colpevoli di essere distanti dalla persone comuni, incapaci di intercettare bisogni e necessità del popolo che percepisce il ‘palazzo’ come causa e origine di tutti i mali: ‘oltretutto piove da giorni, il governo cosa fa?’.
Però non è solo populismo, non è solo antipolitica. Bisogna essere onesti e riflettere con serenità. C’è una parte di verità che non può essere nascosta. Se il lavoro manca, se la politica viene percepita solo come strumento per ‘sistemare’ il proprio figlio, se un giovane laureato – con tutto il rispetto – non ha altre aspettative che quelle di finire a fare il commesso nella grande distribuzione, se l’accoglienza viene sbandierata a parole, ma svuotata di significato perché poco praticata nei fatti e diventa (quando va bene) un’assistenza priva di costrutto, se il mantenimento dello statu quo si trasforma in una battaglia da combattere con pervicace autoreferenzialità, se si rimane arroccati nelle proprie posizioni come signorotti feudali, se ci si ricorda del territorio solo in quanto ipotetico serbatoio di voti, se si fa di tutto per evitare che qualche volto nuovo si affacci sulla scena politica perché potrebbe rompere gli equilibri, se si è convinti che il potere raggiunto non possa essere messo in discussione da niente e da nessuno, se si è arroganti perché sicuri di poter vivere di rendita, se si imposta una campagna elettorale a convincere i già convinti e a raccogliere gli applausi dei sostenitori evitando di incontrare i dissenzienti, beh, forse la tempesta potrebbe addirittura essere salutare, anche se il prezzo è molto elevato.
Considerando che nel 2019 si sceglierà il nuovo sindaco e nel 2020 si eleggerà il presidente della regione, forse tra gli sconfitti dovrebbe cominciare a girare la ciotola di cenere da cospargere sul capo. Ma non basta un bagno di umiltà, chi ha perso deve ricominciare daccapo. Nella speranza che chi ha trionfato abbia la consapevolezza della portata del compito che gli è stato affidato e le capacità per attuarlo, occorre un’attitudine al dialogo che sembra mancare da parte di tutte le forze in campo e in particolare proprio da quelle che hanno vinto. La sensazione è che si prosegua con arrogante ostinazione a premere il piede sull’acceleratore, succeda quel che succeda. Lieti di essere smentiti dai fatti.
ENRICO PRESILLA