Metti via quel cellulare!
A libri aperti
Quando ho iniziato a leggere questo libro (l’ultimo di Aldo Cazzullo, edito da Mondadori, 17 euro), attirata soprattutto dal titolo, pensavo di trovare nella lettura pane per i miei denti. Ovvero, le parole di qualcuno che la pensa assolutamente come me. Il mio odio per i cellulari, peggio ancora per gli smartphone, è cosa ormai piuttosto risaputa. Eppure, mentre la lettura proseguiva, la cosa che mi ha dato più piacere, lo confesso, non è stata la prosa accattivante di Cazzullo, prestata all’argomentazione di idee pressoché coincidenti con le mie (sarà pure per l’età, che più o meno è la stessa). Sono state invece le risposte dei suoi due figli, Francesco e Rossana. Sì, perché il libro è scritto a sei mani: quelle del padre, che via via protesta con i figli per il loro abuso del cellulare e dei social, e quelle dei figli (lui, studente al secondo anno di Scienze Politiche; lei, maturanda al liceo classico Tasso di Roma). Così, le questioni poste dal padre vengono riprese e ampliate dai due ragazzi, che replicano con intelligenza e tengono decisamente testa all’illustre papà, dimostrando che spesso le preoccupazioni di noi genitori sono un po’ esagerate, perché questi giovani hanno spirito critico da vendere e un’apertura mentale decisamente migliore di quella della nostra generazione. Certo, non è che ora per via di Francesco e Rossana io mi sia affezionata ai cellulari, né tantomeno ho deciso di correre ad acquistarne uno nuovo. Ma mi consola pensare che quando ai nostri figli abbiamo dato un’educazione significativa sin da bambini, abbiamo insegnato loro a leggere libri, li abbiamo portati al cinema, o a qualche concerto, abbiamo letto con loro una poesia, abbiamo visto insieme un tramonto o il cielo delle Perseidi nelle notti di agosto, possiamo avere la certezza che sapranno usare intelligentemente anche il discusso strumento che la rivoluzione tecnologica del nuovo millennio mette loro a disposizione. Dunque, sono un po’ meno preoccupata per le mie figlie, che più o meno hanno la stessa età di quelli di Cazzullo, e per i tanti e tanti giovani intelligenti che ho occasione di incontrare tutti i giorni. Restano, indissipabili, altre preoccupazioni: che ci siano troppi giovani che non hanno avuto esperienze culturali significative in tenera età, che sono stati troppo presto abbandonati alle baby-sitter tecnologiche (non solo cellulari, evidentemente), che hanno avuto come regalo di compleanno a 7, 8 anni il loro primo smartphone e che questi giovani possano essere vittime più che protagonisti del cambiamento… E ancora di più mi resta il dubbio che ci sia una nutrita schiera di adulti (un po’ più giovani della mia età), che è cresciuta quando il mondo delle nuove tecnologie stava appena esplodendo e ora ci sia immersa troppo dentro per saper guardare dall’esterno l’abisso in cui sta sprofondando. Quando io ero molto piccola a casa mia non c’erano né telefono né tv, ma nel giro di una decina d’anni le cose sono cambiate freneticamente: tutte le famiglie si sono precipitate a dotarsi dei più innovativi dispositivi mediatici, ed averli in casa era un segno di prestigio sociale e di apertura al nuovo; quello che i media ci offrivano era tanto e sembrava ancora il migliore dei mondi possibili. Chi è cresciuto in quegli anni, senza conservare il ricordo del “prima”, non sa più fare a meno delle nuove tecnologie, magari ne dice male ma ci sta immerso fino al collo. Hanno ragione dunque i suoi figli, signor Cazzullo: non è un problema di giovani. Sono peggio certi adulti! Sono questi ultimi, infatti, che credono a tutte le panzane che si raccontano in rete e che combattono battaglie fatte di “mi piace” e di post commentati all’infinito, sono quelli che seguono l’ultima moda salutista in fatto di alimentazione e che non vaccinano i propri figli, si fidano più dei video su Youtube che dei loro occhi, conoscono di storia solo quel tanto che trapela dai più banali luoghi comuni. Sono gli adulti delle chat di gruppo, quelli di Whatsapp, tuttologi e banalizzanti, quelli che non spengono il cellulare nemmeno al cinema e al teatro, per non perdere gli ultimi centocinquanta commenti: quando i loro figli cresceranno, conserveranno lo spirito critico di Francesco e Rossana?
STEFANIA MENICONI