Un’ordinaria storia di straordinario amore
Maria Rosaria Fiorelli, originaria di Foligno, e suo marito Giovanni Gentili vivono a Perugia. La loro storia di neosposi li ha aperti presto alla vita che ha risposto con un’esperienza di fecondità e genitorialità allargando il loro cuore e quello di coloro che incontrano ogni giorno.
Maria Rosaria, come è cambiata la tua vita con l’adozione?
È cambiata moltissimo: improvvisamente da un giorno all’altro ho lasciato temporaneamente il lavoro, sono diventata mamma e insieme a Giovanni siamo diventati genitori. Questo succedeva 7 anni fa quando il nostro primogenito, Nicola, arrivava a casa nostra ed era un fagottino. La novità ci ha stordito, non eravamo abituati a niente. Eravamo disorientati, ci eravamo preparati molto all’accoglienza di un figlio più grande, ma non avevamo fatto corsi pre-parto né eravamo preparati alle cose materiali da fare. Il servizio adozioni ci è stato molto vicino attraverso la psicologa e l’assistente sociale. Nell’arco di qualche mese la nostra è diventata la vita di una famiglia normale, perché siamo diventati in tutto genitori.
Come avete spiegato ciò a Nicola?
Il servizio adozioni ci ha aiutato. Lui fin da prima dei due anni di vita ha iniziato a fare domande, abbiamo cercato le parole per raccontare la sua storia e per entrare nella verità, perché solo la verità si può dire, commisurata alla sua età e da lui digeribile. Abbiamo cercato il lato più autentico: gli diciamo sempre che i genitori naturali erano belli perché anche lui lo è, che lo hanno amato perché non lo hanno abortito e che, non potendolo tenere, lo hanno affidato. Lui sa che sono tre verità belle della sua vita.
La seconda adozione?
In me c’era fin dall’inizio il desiderio di un secondo figlio, meno in mio marito. Dopo due-tre anni, il servizio adozioni territoriale ci ha permesso di rimetterci in cammino, quando avevamo trovato un equilibrio. Abbiamo rifatto il percorso burocratico e in questo caso eravamo più preparati. Nel frattempo avevamo conosciuto altre famiglie nella nostra situazione, facevamo incontri di post-adozione presso il servizio territoriale e abbiamo messo le basi per costituire l’associazione di cui oggi siamo i presidenti, la Rete Famiglie Adottive. L’attesa, in questo caso più lunga della precedente, è stata supportata dalla condivisione con queste famiglie.
Ho letto del viaggio nel vostro libro “Un rapper alieno è atterrato nella nostra famiglia”. Ce ne parli?
Siamo volati all’estero, in Colombia. Julio è afro-colombiano. Siamo stati 32 giorni in un viaggio pieno di sorprese: ogni giorno non sapevamo dove saremmo andati. Ci alzavamo e ci accompagnavano in posti a noi sconosciuti, sulla base delle procedure.
Come è avvenuta la scelta?
Abbiamo allargato le maglie del cuore e siamo stati disponibili al progetto che sapevamo che ci stava precedendo e al tempo stesso superando. Non abbiamo scelto nulla, però, dal giorno in cui siamo stati convocati per l’abbinamento, ci hanno comunicato l’età, il sesso, il colore, la provenienza. Quel giorno abbiamo visto la foto di Julio che aveva quattro anni.
Come ha reagito Julio quando vi ha visto la prima volta?
Inizialmente tranquillo, poi quando siamo usciti portandolo con noi si dimenava e piangeva: gli psicologi che stavano con lui erano in quel momento più rassicuranti di noi bianchi, anche se aveva da tempo le nostre foto ed era stato preparato. In fondo, noi lo avevamo chiesto, non lui aveva cercato noi: era la parte debole non preparata a vivere questo cambiamento. Poi si è rasserenato… era settembre del 2016.
Come state oggi?
L’esperienza è positiva ma faticosa, l’inserimento sta andando bene: lui è vivace, ha dimenticato la sua lingua e dai test risulta essere madre lingua italiano. Si ricorda dei genitori affidatari, guardiamo le loro foto insieme e ce ne parla. Passare da un figlio a due è stata per noi una grande conversione, cioè il primo ha rispecchiato tanto le nostre caratteristiche, è simile al papà e ha i nostri interessi. Il secondo ha portato se stesso, una cultura diversa dove la donna non ha valore e abbiamo dovuto camminare molto per farmi accettare e rispettare. Al tempo stesso è tanto solare, gioioso e balla sempre. Nel libro lo abbiamo chiamato “rapper alieno” perché fa le pose da rapper e balla, sta seguendo corsi di break dance e hip hop.
Come è nata l’idea del libro?
L’idea nasce da un’esperienza fatta precedentemente con degli amici che, in viaggio in Colombia, avevano aperto un gruppo su Facebook e noi li avevamo seguiti. Era un viaggio online con tutti i loro amici e anche noi abbiamo desiderato essere accompagnati nel nostro viaggio, aprendo il nostro gruppo segreto dove ogni giorno abbiamo scritto le nostre avventure e disavventure (#diario) le riflessioni (#pensieri), foto sull’ambiente e sulla cultura del posto (#sapevatelo). Tutti i nostri parenti e amici hanno iniziato a commentare e, essendo soli, abbiamo sentito tutti vicini come se quel viaggio importante fosse di tutti. Eravamo soli con la fede e il nostro gruppo. Quando siamo tornati abbiamo scritto ancora per un po’, fino ad un post scriptum di una nostra riflessione sulla situazione di Julio e di tutti noi: il suo sforzo nel cambiamento familiare, culturale e scolastico, il nostro nell’accettare tutto ciò. Nel libro ci sono la gioia e la fatica, c’è il dito di Dio nella nostra storia. C’è il nostro rinascere famiglia, un diventare genitori in modo totalmente nuovo e inatteso.
Cosa desidereresti dire alle coppie che non riescono ad avere figli?
Di non rimanere soli, perché affrontare il dolore che va nella profondità dell’essere uomo, donna e coppia non si può vivere da soli. Di non assolutizzare, dando la priorità alla coppia che viene prima del frutto della coppia e, infine, di non pensare mai che l’adozione sia impossibile.
Abbiamo letto che tu e tuo marito sarete ospiti/testimoni alla giornata per la vita del 3 febbraio a Foligno. Cosa ci racconterete?
Noi abbiamo risposto sì ad una chiamata e proveremo ad essere testimoni di come il Signore ci ha raggiunto nel dolore dell’infertilità e di come ci ha portato alla pienezza della fecondità e lo faremo rispecchiandoci nell’esperienza di alcune coppie bibliche.
PAOLA POMPEI