“Noi non ci arrendiamo e continuiamo a fare sport”
Lo storico ed emozionante Giro d’Italia compie quest’anno 100 anni, parte dalla Sardegna il 5 maggio e via via attraversa tutto lo stivale e alla sua decima tappa tocca anche l’Umbria nel tratto Foligno-Montefalco. Aspettando questo appuntamento previsto per il 16 maggio, vi proponiamo l’intervista di due giovani uomini umbri che da sempre vivono il ciclismo con la passione vera e profonda di chi assapora ogni istante della pedalata come momento di sacrificio, benessere fisico e crescita personale, senza pensare soltanto al traguardo finale. Loro sono Luca e David Panichi, due fratelli gemelli di 48 anni, due esempi di come il ciclismo, unito a una grande forza di volontà, all’entusiasmo e alla determinazione, sia stato decisivo nel trasformare un problema personale in un’occasione di vita straordinaria da dedicare a se stessi e agli altri. Luca Panichi aveva alle spalle 17 anni di carriera ciclistica dilettantistica e davanti a sé il passaggio al professionismo, quando un’auto ha travolto lui e i suoi sogni costringendolo a vivere su una sedia a rotelle. Oggi scrive di sé: “Spingere in carrozzina per me è diventato da subito la prosecuzione naturale del gesto della pedalata. […] In fondo, il limite non è una barriera ma un punto di partenza”. David Panichi, invece, ha una cardiopatia congenita dalla nascita e dal ‘97 gli è stato riscontrato il diabete di tipo 1 che lo rende insulino dipendente. Anche per lui pedalare in bicicletta è una passione e una forma di libertà che ha imparato a vivere con equilibrio e rispetto di alcune importanti regole, che gli permettono di controllare la malattia, prevenire le complicazioni e vivere serenamente. La storia di Luca e David è bella, emozionante e sorprendente, è un insegnamento per la vita e un invito forte e deciso a non arrendersi di fronte alle difficoltà ma a intravedere sempre quello spiraglio di luce che ti spinge ad andare avanti e a dare un senso alla vita. Da anni ormai si impegnano nel sociale a trasmettere questo messaggio attraverso azioni concrete e parole che lasciano il segno.
Chi sono Luca e David Panichi?
Luca – Amo la vita in tutte le sue sfaccettature, sono una persona curiosa con una grande voglia di mettermi in gioco. Con David e il nostro fratello maggiore Umberto c’è un bellissimo rapporto da sempre, fatto di complicità e di tante condivisioni di valori e di orizzonti di vita. Siamo anche caratterialmente diversi e questo ci completa e ci rende stimolanti l’un l’altro.
David – La mia cardiopatia non mi ha permesso di poter praticare sport a livello agonistico, ma fin da piccolo ho comunque fatto attività sportiva. Sono sempre stato una persona attiva e piena di vita. Non mi sono mai sentito diverso dagli altri. Non potendo partecipare alle gare, ero orgoglioso di aiutare e stare vicino ai miei fratelli e alla squadra.
Cosa rappresenta per voi il ciclismo?
Luca – Il ciclismo è una filosofia di vita, un modo particolare e unico di affrontarla, un atteggiamento che costruisci crescendo verso te stesso e gli altri, un sentirsi parte dell’universo, attraversando ogni volta tanti luoghi diversi, un affrontare con entusiasmo ed energia i propri limiti, nell’esercizio di una passione avvolgente! Il ciclismo è uno sport meraviglioso e una scuola di vita.
David – Tante le corse e tanti i viaggi… tanti i km percorsi per vedere correre i miei fratelli e ciò che rendeva “speciale” questi momenti è che si vivevano in famiglia come una vacanza. Questi momenti “speciali” non mi hanno trasmesso lo sport fatto di solo agonismo, ma quello che ti fa vedere la bellezza della vita, che ti fa vivere serenamente in rapporto alla famiglia e agli altri, che ti insegna ad essere umile e allo stesso tempo forte, non solo fisicamente ma anche interiormente.
Provate a raccontarci del vostro “incontro” con il dolore, con la sofferenza, con la paura di perdere tutto. L’incidente di Luca e la malattia di David.
Luca – L’incidente mi ha messo di fronte a una realtà sconosciuta, ma anche alla consapevolezza che aver fatto tanti anni di sport permette di riuscire a reagire psicofisicamente, beneficiando delle esperienze vissute per ridare fiato a tutti gli orizzonti di vita possibili. Paradossalmente il senso del dolore è diventato ancor più basso, constatando direttamente situazioni più drammatiche e limitanti. La stessa duplice esperienza di David, come soggetto diabetico e cardiopatico, gli ha permesso di volgere lo sguardo di vita più in alto e a proporre messaggi di crescita e di emancipazione agli altri.
David – In poco più di vent’anni il ciclismo ci ha messo di fronte a tante “cadute”, ma quello che ci ha insegnato questo sport è il sacrificio, la fatica e la capacità di rialzarsi per ripartire e arrivare in fondo alla gara… in fondo alla vita. Non avrei mai immaginato di provare un dolore tanto grande e devastante come quando ho saputo dell’incidente di Luca. Ricordo all’ospedale l’abbraccio con mia madre e mio padre, poi l’attesa, le speranze e la consapevolezza crescente che in ogni caso saremmo dovuti andare avanti. E siamo andati avanti anche quando, qualche anno dopo l’incidente di Luca, mi è stato riscontrato il diabete di tipo 1 (insulino dipendente).
Come si supera un ostacolo tanto grande e come si cambia per cercare di continuare a vivere?
Luca – Gli ostacoli sono parte integrante e fisiologica della vita, conta il come si affrontano e il significato che a essi si attribuisce. Il ciclismo ti insegna a non mollare mai, a rialzarti, sapendo di poterlo fare con il massimo della determinazione e con il massimo del rispetto altrui, senza disdegnare lucide follie.
David – Lo sport è “un’arma” dalle mille sfaccettature. L’incidente di Luca ha cambiato la vita della nostra famiglia, ma non ha cambiato quello che eravamo e siamo ancora oggi, non ha cambiato la passione, l’amore per questo sport e il senso della famiglia. Dopo l’incidente, Luca è rimasto sempre vigile e non erano gli altri a dargli forza ma lui a emozionare per il fatto di non essersi arreso a “quel destino”. Luca è riuscito a ridare al suo corpo vitalità e forza grazie a un intervento in Germania, a tanta fisioterapia ma anche grazie all’amore della famiglia. Poi Luca ha continuato a studiare, è riuscito a laurearsi, a conseguire dei master e a dare un risvolto ancor più positivo alla sua nuova realtà di vita. Ha continuato a vivere con la stessa tenacia che aveva quando correva, quella stessa che ora è impressa nelle sue braccia e nelle sue mani. Gli ostacoli sembrano non esistere: un giorno di maggio andiamo in una delle mitiche tappe di salita del Giro d’Italia, il Blockhaus, io con la mia bicicletta, Luca con la sua carrozzina. Luca comincia a scalare le ultime rampe di quello che sarebbe stato un emozionante arrivo alla tappa del Giro dove il boato di applausi, di lacrime e di incitamento hanno dato uno stimolo maggiore a realizzare quei sogni riposti nel cassetto dopo l’incidente… quello di scalare le mitiche salite… con le sue “braccia”. Da allora Luca non ha mai più smesso di “correre” diventando così per tutti lo “scalatore in carrozzina”. Anche per me il ciclismo ha rappresentato la possibilità di risorgere e far risorgere il mio corpo. Più lo praticavo e più sentivo il beneficio per il mio cuore; allo stesso tempo mi sono reso conto che non dovevo lottare contro il diabete, ma adeguare la mia vita alle nuove circostanze in modo tale da migliorarla e cercare di non farmi sopraffare da questa patologia.
Quanto è importante la famiglia nei momenti difficili della vita e quali sono i valori che vi ha trasmesso?
Luca – La condivisione dei valori profondi ha sempre rafforzato e unito la nostra famiglia, contribuendo a tenere un atteggiamento positivo e propositivo verso la vita. Abbiamo imparato a non arrenderci e ad affrontare ogni percorso “saltandoci dentro” con energia e colorando il viaggio con le nostre emozioni. Così abbiamo superato i momenti più duri e faticosi.
David – Siamo sempre stati una famiglia unita e fondata su valori profondi e indissolubili. La nostra vicinanza e complicità ci hanno reso una famiglia molto forte. Gli insegnamenti dei nostri genitori ci hanno permesso di non separarci di fronte a qualsiasi evento, ma di tendere la mano e chiudere il cerchio per rimanere sempre insieme.
Cosa ha rappresentato per voi l’incontro con il dottor Giovanni Boni di Foligno?
Luca – L’incontro con il dottor Boni non è casuale ma si sviluppa dentro percorsi paralleli di amore autentico per la vita e per lo sport! La sua schiettezza e determinazione nell’esaltare la naturalità delle prestazioni è stata linfa vitale per mettersi in gioco in un viaggio comune di azioni e di testimonianza positiva per gli altri, fatto di passioni ed energie autentiche.
David – Dopo tanti anni di visite cardiologiche ho trovato nel dottor Boni un alleato che ha saputo cogliere il valore della mia passione e unirla alle regole della medicina e dello sport, facendomi raggiungere un equilibrio tra la pratica del ciclismo e il benessere psicofisico.
Qual è il vostro impegno nel sociale e qual è il messaggio che vorreste trasmettere?
Luca – Sono tanti gli impegni nel sociale al fine di trasmettere il messaggio di non perdere mai di vista la strada delle emozioni, del viverle praticando le cose che ci appassionano, del sentire la bellezza di essere se stessi, di essere protagonisti di ciò che ci piace, di dare e trasmettere un qualcosa di positivo agli altri.
David – Nel 2013 abbiamo dato vita all’associazione BiciCuoreDiabete Onlus per trasmettere il messaggio che “la vita è un dono… ed è bella comunque vada, per questo bisogna viverla con passione”. Il nostro impegno nello sport, nelle scuole e soprattutto nel sociale è quello di spronare bambini, giovani e adulti a fare attività fisica perché è un bene assoluto e ti fa stare meglio, ma soprattutto può essere anche “un’arma” contro le malattie e le patologie.
Quali sono le sfide che vi state preparando ad affrontare?
Luca – Ho già un lungo elenco di “scalate” da affrontare nei prossimi mesi sempre con il sorriso e la voglia di andare avanti con tenacia.
David – Le sfide sono tante ma quella più importante è per la vita. Mi auguro che il nostro impegno possa far riflette sul valore dello sport vissuto non solo come una passione ma come modello di vita.
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