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Giosuè furioso incontra la Scuola media. Il dialogo in esclusiva per i lettori della Gazzetta

Il vostro cronista raccoglie e riporta uno strano dialogo, colto dall’alto della sua grenier, in via dei Molini. Nel giardino della scuola media Carducci, dove i tigli già promettono un’altra primavera, due figure vagamente familiari parlano fra loro. Viene fuori un’indiscrezione clamorosa…

Arrivati a un certo punto certe cose bisogna dirle.

Ma sono più di settant’anni che si sta insieme; ora perché ti viene questa mania di separarti!

L’hai appena detto, no? Settant’anni…

Scommetto che è per colpa di questi qui che t’hanno messo in testa chissà cosa: una vita nuova, un restyling, un’altra gioventù. Ora ti scopri rivoluzionaria!

Almeno una in famiglia! Tu hai un bel cantare di cipressi che a Bolgheri sono alti e schietti, ma rivoluzione… Addio sogni di gloria, cantava quello! Figùrati.

S’è detto mille volte di non ricominciare la stessa canzone! O che ti pare facile a te fare il democratico rivoluzionario col piddì? E poi non c’entra nulla codesta storia, nulla; sei te che sei partita di testa!

Giosuè, Giosuè! Guardami in faccia: ma fai il finto tonto? Ti ricordi quando ci incontrammo? Avevi lo sguardo di fuoco, eri pieno di passione, di slancio, avevi più charme te che Ernesto e Fidel messi insieme. Ora mi sembri un democristiano.

Te vuoi litigare, oggi… t’avverto…

Primo ottobre quarantadue, ti ricordi? Ero ufficialmente la Regia Scvola Media

T’ho detto mille volte di non ricordarmi il monarchico. Ci ha rovinato tutto il servizio fotografico del matrimonio. Te sei la Scuola Media Statale Giosuè Carducci. Ci siamo liberati di teste coronate e croci sabaude, sicché non se ne parli più. E adesso dai, torniamo a casa.

Avevamo quindici classi di studenti.

E te eri bella, ah se lo eri! Bella di fama ma non di sventura, per fare il verso al Foscolo. Mica tutte avrebbero fatto quello che avevi fatto tu.

Mi criticarono in tanti. Un padiglione per i malati di tbc. L’ingegner Raschi me lo disse da subito: “Signorina, non sarà semplice, le faranno opposizione”. Era il Ventidue, mi pare. Ma io andai avanti per la mia strada. Le ricordo tutte, quelle persone. Molte me le vidi andare così, in un soffio.

Ce le hai avute sempre in mente. Come gli scolari dallo scrimo alle creste, dai grembiuli al jeans con gli strappi. Hai fatto tanto per loro.

Facevano bagni di sole, qui in giardino. Alcune avevano una pelle così sottile, che mi pareva che il sole ci passasse attraverso. Questi tigli erano una speranza. Ora tutti ricordano la scuola, vengono a salutarmi, mi postano – come si dice -, mettono la foto, fanno la dedica; gli ricordo la gioventù. Li ringrazio: ma non dimentico di essere stata luogo del dolore.

Io invece quando ti conobbi t’avevano arruolata! Cos’era, il trentotto? Volevano che tu facessi da caserma. In pieno centro un padiglione per malati di tubercolosi! Non fosse mai: troppo rischioso. S’impuntò il podestà e tutto il tribunale della sanità.

Sono contenta di quello che ho fatto.

La tua fortuna è stata quella di incontrare me! Quante generazioni di studenti si è accompagnate io e te? Mille? Quante speranze? E te faresti finire una storia così?

Sì.

E rieccola e rieccola la sessantottina! Ma i sessantottini sono più che sessantottenni ormai! Perché perché ti vuoi separare?

Perché io sono giovane. Sono una scuola. Ce l’ho nel dna la gioventù, io. Te invece te l’ho detto chi mi sembri. E poi scusa, fatti due conti: la scuola media di via Fonti coperte, su dai grifoni, è lesionata, io devo essere tirata giù, a L’Aquila una succursale è stata ricollocata altrove. Come ci chiamiamo tutte e tre? Giosuè Carducci. Giosuè: tu porti iella!

Te mi vuoi provocare, ma io non ci casco. Sono volterriano. Piuttosto non ti dispiace punto che vengano a demolirti?

Tu se cambi d’abito ti dispiaci? Io sempre la stessa resto.

Ma si dispiacciono in tanti!

Li muove la nostalgia. È come se gli buttassero giù un pezzo di vita. Quella c’è stata tre anni, quell’altro magari quattro, una ha insegnato qui tutta la vita, un altro ci trovò la fidanzata. Non c’è niente di nuovo. E poi sono convinta di una cosa…

Cioè?

Se non m’avessero demolita, qualcuno avrebbe detto: perché non è stata demolita? Ora che mi demoliscono qualcuno magari dice: ma non si poteva restaurarla? Non è un bene storico?

Non sei un bene storico?

No. Sono un bene nostalgico, te l’ho detto. E con la nostalgia non si butterebbe via niente. Io invece non vedo l’ora di ripartire e tornare in classe, con i miei ragazzi. Bisogna metterci in gioco. Tu parli parli, ma ormai sei un rivoluzionario un po’ spuntato.

Ma che dici!

E anche un po’ monarchico…

No, questo no. Se volevi trovare grane, le hai trovate, e di che tinta le hai trovate!

Giosuè ti si conosce! Ti spuntò il re quando ti fece senatore!

E che dovevo fare, rinunziare? Continuai a leggere Babeuf.

Visto? Ti hanno rottamato, come si dice dalle tue parti. Io invece mi ricostruisco. Vedi? Non ci può essere dialogo fra noi. Solo due cose vorrei…

Due?

Che non toccassero i tigli e che non si portassero a casa cimeli. Un mattone portato via a un edificio è solo un mattone. Solo una parte che senza il tutto è niente. Per il resto sono prontissima. E lietissima.

E se poi io non ti riconoscessi più?

Giosuè, o la pianti o chiedo di essere intitolata a un altro. Non ci metto nulla: conosco il vicesindaco. È donna di cultura: sai quanti me ne può presentare?

Ecco ecco, è questo! Ora che ti tirano a lustro, bella moderna sicura, pensi subito a qualche bellimbusto! Un Marcantonio? Un Alfieri con quegli occhi da tombeur? O un Dante, perché no! È Dante? Dimmelo…

Se non la smetti mi faccio intitolare a Pio IX; anzi, a Faloci. A Faloci-Pulignani mi faccio intitolare…

I medici del 118: «Lo stiamo perdendo… lo stiamo perdendo…».

GUGLIELMO TINI

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