“Ad multos annos”
Per celebrare un appuntamento così importante, i 100 anni di S.E. mons. Giovanni Benedetti, anzitutto ho cercato nel Salterio le parole più adatte per tradurre la formula augurale – suggerita dalla liturgia – “ad multos annos”; poi, ho scoperto nel Chronicon del vescovo Giovanni il suo profilo episcopale di maestro della fede; infine, aprendo l’album della mia memoria, ho trovato la “diapositiva” del primo incontro con lui.
A mons. Benedetti, che ha superato in età e forse anche in altezza San Feliciano, non calzano bene le parole del Salmista: “Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti” (Sal 90,10). Forse, il vescovo Giovanni, nella sua sapida sapienza, preferirebbe fermarsi su un altro versetto dello stesso salmo: “Mille anni, ai tuoi occhi (Signore), sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte” (Sal 90,4). A mons. Benedetti, che gli amici hanno sempre paragonato ad un pioppo, si addice quanto si legge nel Salterio: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano; piantati nella casa del Signore fioriranno negli atri del nostro Dio. Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi” (Sal 92,13-15).
Nelle pagine del Chronicon, in cui mons. Benedetti registra i primi passi del suo cammino episcopale, egli abbozza il proprio autoritratto. “Debbo essere un vescovo dottore. Ne ho affermato sempre la necessità, ne ho lamentato spesso la mancanza. Ora tocca a me dimostrare che è possibile, che ciò bisogna realizzarlo, perché è necessario, urgente, essenziale. Che significherà per me essere vescovo, se non conosco per lungo studio e lunga meditazione la parola di Dio contenuta nella Scrittura, nella Tradizione, nella Liturgia, nella ricerca teologica? Per me la meditazione e lo studio della parola di Dio deve tenere il primo posto, perché deve essere la sorgente cui debbo attingere per far bene tutto il resto. Il tempo lo dovrò trovare, sacrificando un po’ di quel tempo libero che mi sarà concesso, un po’ di quel sonno e chiacchiere inutili, alle quali troppe volte si indulge. Non voglio diventare un limone spremuto, non voglio parlare da analfabeta di ritorno circa la teologia. Chi mi dirà che perdo tempo sui libri, dovrà convincersi che esistono molti altri modi di perdere tempo, non questo. E questa sarà la mia forma di apostolato, di cui abbiamo bisogno tutti oggi, non esclusi i preti (e i miei confratelli vescovi, vorrei aggiungere, fra parentesi, però!)”.
Nell’archivio della memoria ho ben chiara la collocazione del “faldone” del mio primo incontro con mons. Giovanni Benedetti, quando era ausiliare dell’arcivescovo di Perugia, S.E. mons. Ferdinando Lambruschini. Il 6 aprile 1975, domenica in albis, intorno alle ore 10 del mattino mi reco nella chiesa parrocchiale di Ospedalicchio per prepararmi, come chierichetto, alla celebrazione della Messa solenne delle 11. Entrando in chiesa scorgo, seduto sulla prima panca, mons. Benedetti, intento a recitare il breviario: talare filettata, fascia paonazza e zucchetto mi incutono timore e così decido di sedermi all’ultimo posto, come il pubblicano al tempio, tenendo però non gli occhi bassi ma fissi sul vescovo Giovanni. In Chiesa siamo io e lui soli, davanti al Santissimo! Qui si ferma la registrazione della mia memoria che è tornata alla luce molti anni dopo, quando ho preso coscienza del fatto che nella domenica in albis la liturgia della Parola propone il brano giovanneo che narra l’incontro del Risorto con Tommaso, l’apostolo nella cui festa sono stato eletto all’episcopato, il 3 luglio 2008! Questa provvidenziale “inclusione”, custodita nel segreto del mio cuore, la confido solo ora e la offro in dono al vescovo Giovanni, che è per me fratello ed amico, ma di cui, in realtà, mi sento figlio, profondamente devoto e immensamente grato!
MONS. GUALTIERO SIGISMONDI