Settimana politica
Unire i Comuni: risparmi e investimenti
Finalmente una proposta seria per la riduzione dei Comuni in Umbria. È lo studio realizzato dalla Confederazione artigiani e piccole imprese regionale che motiva l’eliminazione di 62 Comuni su 92. Ci sono incentivi statali per le fusioni: nel 2016 30 milioni. In Italia, dal 1995 al 2011, di aggregazioni di Comuni ce ne sono state 9; dal 2012, a seguito del decreto legge 95, sono arrivate a 62. I principali vantaggi sono un contributo statale pari al 50% dei trasferimenti erariali del 2010 per 10 anni (era il 40% fino al 2016), finanziamenti regionali per le spese d’esercizio, supporto tecnico-formativo e premi nei bandi, minori vincoli per l’assunzione di personale a tempo indeterminato, esclusione per 3 anni dall’applicazione delle regole per acquisizione lavori, beni e servizi, risparmio sulle spese per gli organi politici, opportunità di specializzare e qualificare ulteriormente il personale, possibilità di mantenere i servizi ai cittadini presso i municipi decentrati. In Umbria la metà dei Comuni ha meno di 3.000 abitanti (il 25% della superficie regionale) e due su tre ne hanno meno di 5.000. Il 60% degli Umbri vive nei 10 Comuni con popolazione superiore a 20.000 residenti. Tendenzialmente i municipi più piccoli registrano un elevato grado di invecchiamento della popolazione (il 28% ha oltre 65 anni) e ogni cento giovani vi sono 248 persone con almeno 65 anni. I dati evidenziano una correlazione tra dimensione demografica e capacità reddituale: nei piccoli Comuni si manifesta un reddito medio di 11.000 euro per abitante, più basso tra tutte le classi demografiche, e lo scarto rispetto alla media regionale è di 1.600 euro pro-capite. L’agricoltura è la prima attività economica dei Comuni piccoli e sono attive 59,4 imprese ogni mille abitanti, mentre nella classe di popolazione 3-5.000 si arriva a 68,1. Nel periodo 2010-2015 le spese correnti dei piccoli municipi sono cresciute del 5%, rispetto a un decremento medio del 5% di tutti i Comuni umbri. Le spese per investimenti sono diminuite sia per quelli grandi sia per i piccoli, mentre in quelli intermedi (5-10.000 abitanti) sono in crescita del 38%. Il personale comunale nella Regione è di 5.707 unità, con 6,4 dipendenti ogni mille abitanti. I Comuni più piccoli hanno invece 6,6 dipendenti ogni mille abitanti e in media 11 dipendenti e presentano costi più elevati (1.012 euro pro-capite), i quali toccano il livello minimo nella fascia 5-10.000 abitanti (781 euro pro-capite). I maggiori costi fissi connessi alla piccola dimensione comportano livelli elevati di spesa e di conseguenza un carico fiscale maggiore (739 euro a testa, mentre nella fascia 5-10.000 abitanti è di 623). L’associazione degli artigiani descrive un’ipotesi di accorpamento: tutti i Comuni con meno di 5.000 abitanti devono aggregarsi per raggiungerne almeno 10.000 abitanti ove possibile, con i Comuni capoluogo esclusi dalle fusioni. Le aggregazioni tengono conto dell’articolazione dei distretti socio-sanitari e dei sistemi locali del lavoro. L’ipotesi coinvolge 86 Comuni su 92 totali.
CNA: Foligno con Sellano e Valtopina
Vengono individuate 24 aggregazioni comunali, con il risultato di 30 Comuni in totale. Foligno verrebbe accorpata a Sellano e Valtopina, mentre Spello è insieme a Bevagna e Cannara. Con l’accorpamento ci sarebbero incentivi annuali pari a 82 euro per abitante (in altri casi si superano anche i 100 euro). Con le fusioni si compenserebbero i tagli degli ultimi 6 anni: nel nostro caso a fronte di tagli per 2.072.000 euro si recupererebbero 2 milioni. Complessivamente la pressione fiscale diminuirebbe del 12% e gli investimenti aumenterebbero del 26%. Per la fusione di Foligno, Sellano e Valtopina la pressione fiscale diminuirebbe del 6% e gli investimenti aumenterebbero del 14%. Lo studio anticipa la normativa: infatti entro il 2017 i piccoli Comuni dovranno obbligatoriamente gestire in maniera associata tutte le funzioni fondamentali. Già sono operative alcune collaborazioni tra i Comuni dell’area collinare a sud e a est di Foligno. Ma le aggregazioni piacciono ai cittadini umbri, che hanno bocciato un referendum che le prevedeva nel territorio dell’orvietano? Possiamo ancora permetterci, però, spese superflue e meno opportunità di investimento?