GERMOGLIFL 6.9.2003 FOLIGNO MARIANI FOFO

Fofo Mariani: “Indossare quella maglia azzurra era come stare in paradiso”. Passato, presente e futuro: “Ho amato i falchetti: ora spazio ai giovani per risorgere dal baratro”

Una bandiera del calcio che fu, un nome scolpito nella lunga storia del Foligno Calcio. Adolfo Mariani, eclettico trequartista dei falchetti a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, si racconta alla Gazzetta di Foligno. Un passato glorioso con 494 presenze e 73 reti con la maglia del Falco, negli anni in cui la formazione azzurra solcava i campi di quella “Quarta Serie” per importanza solo inferiore alla Serie C.

GERMOGLIFL 6.9.2003 FOLIGNO MARIANI FOFO

Mariani, piede fatato e animo gentile, è ricordato con affetto ed ammirazione ancora oggi e può rappresentare un esempio per il futuro calcistico della città della Quintana, soprattutto per le nuove leve. Il suo Foligno “Made in Umbria” è rimasto impresso nella memoria dei tifosi, che assiepavano le tribune dell’attuale Campo de li Giochi. In un periodo nefasto la formula suggerita dall’ex numero dieci prescrive tre elementi essenziali per il rilancio: giovani, divertimento e amore per la maglia.
Adolfo ci possiamo dare del tu?
Assolutamente sì.
Prima di iniziare ci togli una curiosità? Ci racconti la genesi del tuo soprannome “Fofo”?
Sai come funziona in questi casi? Durante gli allenamenti i compagni abbreviando il mio nome Adolfo mi urlavano sempre: “Fo, passa questa palla!”, da lì è nato tutto (risata).
Iniziamo dal presente. Cosa ci dici del Foligno che è sprofondato nel baratro?
Sinceramente quando ho letto sui giornali determinate notizie sono rimasto sbalordito, per uno come me innamorato di Foligno, mi hanno davvero fatto male. Purtroppo nel calcio esistono alti e bassi. La situazione è deprimente ora, speriamo di ripartire con una squadra che sia degna di questa città.
Quali sono le cause del declino dei falchetti: un’imprenditoria che non investe, i tifosi che non vanno più allo stadio o l’assenza di una società forte?
Il discorso è generale secondo me. Il calcio di oggi sta andando verso una strada senza ritorno. L’economia non consente agli imprenditori di investire molto, quindi per ripartire servono i valori, serve puntare sui giovani, serve riportare la gente allo stadio.
È così cambiato il calcio rispetto al passato?
Ti racconto un aneddoto. Quando ero piccolo andavo allo stadio e mi aggrappavo alla rete della gradinata. Guardavo quei giocatori con la maglia azzurra come eroi. Sognavo. Avrei dato tutto per indossare quella divisa. Grazie al cielo con quella maglia ci ho giocato per tanto tempo e per me indossarla…era come stare in paradiso. C’erano i sentimenti, cosa rara al giorno d’oggi.
Ti va di raccontarci un po’ della tua carriera?
Non lo dovrei dire (ride). Debuttai con la maglia dei falchetti a tredici anni e otti mesi in un derby con il Perugia che perdemmo 4-3. Non sarei dovuto scendere in campo perché non avevo ancora quattordici anni ma il mio cartellino – diciamo – fu ritoccato per l’occasione. Ho proseguito con la maglia azzurra fino ai 18 anni, quando sbarcai a Padova in serie B. Dopo due anni fui girato in prestito alla Triestina in serie C. Poi – anche se non ci crede nessuno – ho preso la mia decisione. Sai uno deve amare la propria città ed io ero innamorato di Foligno. Ho deciso di tornare a casa. D’altronde – te lo confesso – quando il pubblico della gradinata rumoreggiava entusiasta per un mio dribbling, per me era un grande godimento. Il calcio è questo: divertirsi e far divertire il pubblico.
Qualcuno ti paragona a Baggio. Io penso a Cruijff. Esageriamo?
Sì, hai esagerato. Diciamo che le mie caratteristiche erano comunque in linea con i giocatori che hai nominato. Io amavo puntare il mio avversario e saltarlo ed offrire assist ai miei compagni. Pensa una volta sono riuscito a fare tre tunnel consecutivi!
Qual è la formazione a cui sei più legato nella tua storia azzurra? Ci fai qualche nome?
Posso dirti i giocatori quando in panchina c’era Blasone. Zampetti, Santoni e Luci, Nicolini, Ragni, Cornacchini, Bromuri, Perli, Poli, Mariani e Possanzini. Questa era l’ossatura del mio Foligno.
Adolfo, ricapitolando quanto detto, cosa deve fare il Foligno per tornare grande?
Come ti ho detto serve puntare sui giovani del territorio. È quello il segreto insieme alla riscoperta di quei valori che nel calcio si sono ormai persi. Quando vedi le partite di oggi, hai fatto caso che nessuno ride mai? Non c’è divertimento né per i giocatori né per il pubblico. Il “pallone” deve essere invece una festa.

GIOVANNI BARTOCCI

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