Vita, morte e banalità del male. Tre giovani tra lavoro e terrorismo
Una tragedia dei nostri giorni. “Siamo frequentemente sopraffatti da immagini di morte, dal lutto di chi piange una persona cara a causa dell’odio e della violenza. Il terrorismo fondamentalista frutto di una grave miseria spirituale, alla quale è sovente connessa anche una notevole povertà sociale ha mietuto numerose vittime in tutto il mondo: chi viaggia o lavora, chi passeggia per le vie della città come a Nizza e a Berlino”. Le recenti accorate parole di Papa Francesco ancora una volta denunciano concause ed effetti della dimensione più tragica della crisi di valori immanente nel mondo odierno: l’azione omicida di uomini invasati, da altri uomini manipolati nella volontà e resi pronti ad uccidere persone sconosciute inermi, a seminare panico tra “gli infedeli”, nella convinzione ideologica di dover costruire un mondo nuovo la cui edificazione necessita anche della violenza. “I terroristi sono anime morte che uccidono le esistenze di cui invidiano la vita e la libertà”: afferma lo psicanalista M. Recalcati. Tragica testimonianza, lo stillicidio di stragi fondamentaliste che, a ridosso del periodo natalizio, hanno funestato anche il nostro mondo occidentale, con modalità cruente assimilabili a quelle endemiche in tante zone dimenticate della Terra da noi lontane per geografia e cultura, dove manca tutto e si può esser uccisi per nulla, dove vivere o morire sono spesso opzioni legate al caso. La strage perpetrata la sera del 19 dicembre a Berlino suggerisce alcune riflessioni, suscitate dalle figure delle vittime, del carnefice e di chi si è trovato a fronteggiare il carnefice. Le esistenze di 3 giovani, diversi per provenienza, stili di vita, cultura, si sono incrociate per caso in un crocevia imprevedibile, con conseguenze tragiche verificatesi per due di essi. L’attentatore, il tunisino Anis, 24 anni, alla guida di un Tir, investe deliberatamente in una strada di Berlino una folla pacifica in visita ai tradizionali mercatini natalizi, uccidendo 12 persone e ferendone 48; Fabrizia, 31 anni, l’unica italiana tra le vittime, passa repentinamente dal momento di relax all’altra vita; Luca, 29 anni, l’agente di polizia in servizio notturno in un paese dell’hinterland milanese, impugnando l’arma in dotazione, per legittima difesa risponde al fuoco aperto da Anis in fuga, riparato in Italia qualche giorno dopo la strage, uccidendolo sul colpo: per salvare se stesso ed il collega di pattuglia ferito poco prima dal tunisino. Il percorso professionale di Fabrizia: laurea e master in tedesco conseguiti presso università prestigiose italiane, da 3 anni lavoro a Berlino presso una società nel ramo servizi per logistica e trasporti. Cittadina del mondo, aveva realizzato all’estero il sogno di futuro in un sistema di lavoro che agevola anziché respingere; confrontarsi con nuove esperienze e culture era la sua aspirazione, la stessa vagheggiata da tanti giovani connazionali “costretti a lasciare l’Italia per mancanza di occasioni” (Presidente della Repubblica Mattarella), per sfuggire alla disoccupazione giovanile (39,4%) favorita da burocrazia ingessata, favoritismi e regole che prospettano impieghi precari piuttosto che stabili. Le notizie su Anis sono emblematiche di un percorso nell’estremismo militante: indole violenta; sfuggito all’espulsione emanata dall’Italia dopo esser stato in carcere perché condannato per reati commessi dopo esser sbarcato a Lampedusa, ricompare in Germania, dove, guidato da “cattivi maestri” manipolatori, completa l’iter ideologico, entra in clandestinità. Colpisce il connubio tra la banalità del male (un automezzo normalmente adibito al trasporto, utilizzato come arma mortale) e l’efficienza con cui l’omicida si muoveva: adusato a servirsi della tecnologia, ma all’occorrenza a camuffarsi, ricorrere ad accorgimenti per non lasciar traccia. Scarne, per sicurezza, le notizie diffuse sull’agente di polizia Luca: nel momento della prova, ha compiuto il gesto giusto, rispondendo al fuoco con professionale prontezza: conseguenza, la morte dell’aggressore Anis. Nessun sollievo è lecito trarre dall’uccisione di Anis, ci è richiesta la pietà: la dignità di ogni persona va oltre quanto può aver compiuto durante la vita in bene o in male, va oltre i confini dell’appartenenza ad una nazionalità o ad un’ideologia. Non conosciamo il mistero del cuore dell’uomo. Il giovane poliziotto porterà nel profondo traccia di un’esperienza unica nel suo genere, che dovrà elaborare. Significative le parole del Vescovo di Sulmona nell’omelia al funerale di Fabrizia: “La nostra ragione si ferma, resta smarrita di fronte al mistero della morte. Siamo qui a piangere la nostra sorella e amica Fabrizia, nel dolore il pianto ci ricorda che siamo fratelli di Gesù”.