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Avvento: una scuola di attesa!

Per l’uomo contemporaneo l’Avvento è probabilmente uno dei tempi forti più difficili dell’anno perché si fonda su una delle dimensioni umane più essenziali e radicali: l’attesa. Appartiene alla realtà della vita il nutrirsi di tempi lunghi, di lentezze, di pause, di sorprese, di gradualità, di stagioni, di passaggi moderati e ritmati dalla quotidianità, di fatiche, di stupore e meraviglia. Il giorno e la notte, il crescere in un grembo, il formarsi di un corpo, le conquiste scolastiche e professionali, la maturità affettiva e psicologica, la serenità spirituale, l’amicizia, l’amore e ogni forma di relazione tra persone si decantano nell’inesorabile gocciolare del tempo dell’attesa. Per questa sua natura l’Avvento è il periodo più complesso dell’anno narcotizzato dai preparativi del Natale, distratto dall’iperattività del commercio per le feste, poiché si elude una delle sante inquietudini di ogni uomo: l’attesa. L’Avvento è lo specchio di una società che ha fatto del tutto, sempre e subito una legge di vita, uno stile esistenziale, un mantra di sopravvivenza. Non siamo più allenati all’attesa, alla pazienza, a saper soffrire perché i tempi, le persone, le situazioni arrivino alla totale maturazione, e coglierle nel pieno della loro “dolcezza”. L’attesa è il frutto della pazienza, parola che ha origine dal latino volgare patire (cfr. il greco pathein e pathos, dolore corporale e spirituale). La fatica è una condizione esistenziale che il mondo contemporaneo sta cercando di esorcizzare in tutti i modi. Non siamo più abituati al lavoro fisico, al sudore, al lavoro manuale che costruiva o coltivava quotidianamente il proprio futuro confidando nella fecondità del tempo. Non abbiamo più la forma mentis della lettera, sostituita dall’immediatezza del messaggino a tal punto che un silenzio eccessivo diventa ansia e apprensione. Abbiamo una mentalità da microonde, dove in pochi secondi vogliamo scongelare problemi che richiedono lunghi processi. Siamo nella generazione dell’on demand: decidiamo noi se e quando vedere la nostra coscienza. Trattiamo i bambini come adulti, viviamo fidanzamenti come matrimoni, frequentiamo il creato come un self-service, l’anima come un autogrill dove si fa una sosta veloce per un pieno e uno spuntino che quieti il languorino e toglierci qualche sfizio. È evidente che questo secolo corre per non pensare, per evitare questa tensione che il tempo genera in noi, per gli interrogativi che l’attesa risveglia. Pensiamo ad esempio a quale paura genera l’attesa della prossima scossa di terremoto! È palese che questo mondo non vuole pazientare, cioè affrontare la soglia del dolore dell’esistenza. Ma è altrettanto chiaro che si sta perdendo il gusto della conquista, la meraviglia della scoperta, il piacere della sorpresa, la gioia del vivere. Senza la sapienza dell’attesa il futuro diviene un nemico, il domani una minaccia, l’avvenire un pericolo, la vita una condanna. L’esistenza non è una realtà che si può consumare, ma un dono da accogliere. Per chiarirci questo principio ineludibile, un nuovo anno liturgico nasce con l’Avvento.

DON GIOVANNI ZAMPA

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