Sul Referendum Costituzionale La decisione spetta ai cittadini
Al di là delle polemiche, per orientarsi sul voto del 4 dicembre ritengo sia utile riflettere su almeno quattro punti.
Il primo riguarda l’oggetto del Referendum. Non si tratta di pronunciarsi sulla riforma dell’inte
ra Costituzione, ma solo sulle “Modifiche della Parte II – Ordinamento della Repubblica”. Ciò significa, tra l’altro, che non vengono toccati i Principi Fondamentali né la Parte I relativa ai Diritti e Doveri dei cittadini, ovvero le norme sulla libertà, la tolleranza, la democrazia e la solidarietà che fanno apprezzare la nostra Carta in tutto il mondo. Non c’entrano niente neppure la legge elettorale e il governo Renzi, che magari tra qualche mese potrebbero cambiare, mentre il respiro di una riforma costituzionale è ben più ampio.
Il secondo punto concerne un richiamo storico. Il dibattito
che si svolse tra il 25 giugno 1946 e la fine del 1947, al di là dell’accoglimento condiviso dei valorifondamentali, fu anche condizionato dalle preoccupazioni per la situazione socio-politica del paese all’epoca. Poiché il clima della nazione era segnato da radicati odi politici (democristiani vs socialcomunisti vs postfascisti), si pensò di procedere con grande cautela in alcuni assetti istituzionali: mille parlamentari con due camere aventi gli identici compiti, sistema elettorale di tipo proporzionale puro, esercito di leva e non di professionisti, pluralità dei corpi di polizia. Siccome non ci si fidava gli uni degli altri, si decise di stare tutti nelle istituzioni rappresentative senza soglie di sbarramento, e di fare in modo che tutti i giovani imparassero ad usare il fucile per una reciproca salvaguardia nel caso riemergessero tentazioni di guerra civile. Ovviamente, il prezzo pagato a tali forme di legittima autotutela è consistito nella breve durata media dei governi, nella macchinosità e nella lentezza decisionali dell’apparato pubblico italiano e nella farraginosità dell’organizzazione dell’esercito e delle forze dell’ordine. Oggi, a decenni di distanza, conviviamo con un sistema elettorale tendenzialmente maggioritario e un esercito formato da professionisti, senza che si siano addensate le minacciose ombre del passato. È lecito dunque chiedersi se un sistema parlamentare fatto di due camere con funzioni identiche serva ancora.
Il terzo punto riguarda il contenuto della Riforma. I passaggi più significativi propongono di: 1) trasformare il Senato nellacomposizione (95 rappresentanti delle istituzioni territoriali + 5 di nomina presidenziale) e nelle funzioni (non vota la fiducia al governo, ma legifera con la Camera su tre grandi aree: leggi costituzionali, elettorali e referendum; leggi che riguardano le istituzioni regionali e comunali; leggi di recepimento o di interazione con l’Unione europea); 2) adottare procedimenti legislativi “a data certa” per evitare i rimpalli e le perdite di tempo odierne; 3) acquisire il giudizio preventivo di legittimità costituzionale dalla Corte per le leggi che disciplinano l’elezione dei membri del parlamento; 4) sopprimere il Cnel, un ente giudicato superfluo da tutti; 5) sopprimere le Province; 6) sopprimere la competenza concorrente nei rapporti Stato-Regione, che ha prodotto finora un pesantissimo contenzioso; 7) stabilire dei limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali e abolire il finanziamento ai gruppi regionali. Ci sono poi altre modifiche, rese necessarie dagli inevitabili raccordi e non solo. Non vengono minimamente toccate le funzioni e le prerogative del Presidente della Repubblica, della Corte Costituzionale e del Presidente del Consiglio. Il modello è quello in uso nella grande maggioranza dei paesi democratici occidentali. Per averne contezza, è auspicabile che ogni cittadino affronti direttamente la lettura del testo riformato: è complesso ma non difficile.
Il quarto punto è relativo al metodo seguito. Considerato che in un recente passato si è assistito al fallimento di tutte le Commissioni bicamerali istituite per riformare la Costituzione (Bicamerale Bozzi 1983-1985, Bicamerale De Mita-Iotti 1993-1994, Bicamerale D’Alema 1997), si è deciso di rispettare in pieno l’articolo 138 della Costituzione, che prevede che le leggi di revisione costituzionali siano approvate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e siano approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. In quest’ultimo caso, qualora ne facciano richiesta […] cinquecentomila elettori, si procede al Referendum popolare, cosa che sta effettivamente accadendo.
Concludendo. La scelta che è di fronte agli elettori è relativamente semplice: se si vuole conservare l’attuale sistema conle sue caratteristiche e le sue implicazioni è il caso di votare no, se lo si vuole cambiare attraverso le modifiche descritte al terzo punto è il caso di votare sì.
ROBERTO SEGATORI