Una Chiesa rinnovata per raggiungere tutti Intervista al tutor del corso diocesano di formazione per operatori pastorali
All’inizio del secondo anno del corso per formatori di operatori pastorali, promosso dalla Diocesi di Foligno attraverso il Coordinamento degli Oratori in collaborazione con il Servizio Diocesano per la Pastorale Giovanile, abbiamo dialogato con Fabrizio Carletti, formatore CREAtiv e docente alla Scuola Internazionale di Management Pastorale della Pontificia Università Lateranense di Roma.
Dopo il primo anno della Scuola per formatori di operatori pastorali, dedicato al tema specifico della formazione, ci puoi descrivere l’obiettivo del secondo anno?
Nel secondo anno analizzeremo con i partecipanti i contenuti e gli strumenti per la formazione di singoli ambiti pastorali: catechesi, pastorale giovanile e oratorio, carità. Integreremo così quanto appreso nel primo anno con i contenuti, i modelli, le attenzioni e le strategie pastorali proprie di questi singoli ambiti di servizio. L’obiettivo finale è quello di formare dei laici nella diocesi che possano accompagnare coloro che operano nelle parrocchie, fornendo loro non solo strumenti operativi, ma una rinnovata visione dell’annuncio e dell’essere Chiesa anche alla luce del recente magistero, una consapevolezza ecclesiale del loro servizio, uno stile di discepoli missionari volto alla comunione e alla missionarietà.
Papa Francesco ci invita ad essere, come Chiesa, una comunità in uscita. Cosa ne pensi?
Ritengo che Papa Francesco ci ponga di fronte ad una scelta irrinunciabile, in grado di salvarci dal rischio di cadere in un atteggiamento di conservazione, o peggio ancora di rivalsa, fingendo verso gli altri ma prima verso noi stessi di essere ancora una presenza maggioritaria nel nostro Paese. È un invito ma allo stesso tempo un monito, una chiamata a liberarci da modelli, atteggiamenti, visioni e schemi pastorali carichi di autoreferenzialità, di desiderio di mantenere uno spazio e una visibilità non più connessi con il reale, con le persone e con la radice ultima del nostro carisma, Cristo. Una Chiesa in uscita si caratterizza sia nel recuperare il cuore del suo contenuto, sia nella forma, lo stile con cui questo viene offerto. Questo ci chiede un profondo discernimento comunitario che non può e non deve partire da una riforma delle strutture, ma dalla condivisione di una visione e di una missione alla luce dei segni dei tempi; un tempo di ascolto, dentro la dinamica dell’esodo, dal quale poi ripartire operando dei graduali cambiamenti nelle forme storiche in cui la missione si dà, scegliendo necessariamente di lasciare alcune cose, di cambiarne altre, di inserirne di nuove.
Come CREAtiv state girando da tanti anni molte diocesi italiane per formare catechisti, educatori, operatori pastorali. Qual è secondo te il livello di inculturazione del Vangelo nelle realtà quotidiane di vita?
Da oltre venti anni operiamo in tutta Italia e collaboriamo con alcune realtà estere. Rispetto al panorama italiano devo dire che, a parte alcune differenziazioni culturali che caratterizzano la nostra penisola, abbiamo una situazione abbastanza uniforme. Molte persone di buona volontà si impegnano, prestano servizio con dedizione e amore nelle proprie comunità o realtà laicali, ma con una bassa formazione e consapevolezza ecclesiale. Questo fa sì che i tanti laici impegnati spesso si fanno prendere da quelle tentazioni di cui Papa Francesco scrive nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium: pessimismo, ricerca di affermazione e potere, invidia, individualismo. E la gente, e con essa le chiese locali, si ammalano, con la conseguenza di non essere più generative e attrattive. Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma, ci ricorda Francesco, è la sua ecclesialità. È diffusa la ricerca di adulti formati, maturi nella fede, umili, sapienti, prudenti: non solo e non tanto per compiti intraecclesiali, ma per una testimonianza nel mondo, per incidere, cambiare, lottare contro le ingiustizie, operare la carità per raggiungere tutti.
Al Giubileo dei Catechisti Papa Francesco ha richiamato i cristiani ad essere persone inquiete che non anestetizzino l’anima ma che facciano la storia, vivendo nell’oggi il Vangelo della Carità. Quali possono essere le nuove forme di annuncio che irradiano una testimonianza semplice e vera?
C’è un’affermazione di Papa Francesco che mi colpisce: “Occorre saper cambiare. E perché? Per restare fedeli!”. Può sembrare un discorso incoerente, ma al contrario è illuminante. Purtroppo rischiamo di imprigionare la creatività dello Spirito, di un Dio che è sempre aperto e creativo, dentro schemi e abitudini che non hanno più contatto con la realtà e le persone. Essere fedeli non è riprodurre modelli e schemi appresi sacrificando le persone ma, al contrario, rimetterci in ascolto tanto della Parola quanto della gente per rinnovare il nostro modo di essere nel mondo. Occorre uscire allora dalla nostra zona di comfort pastorale e spirituale, saper rischiare anche modelli ancora incerti, senza paura e timidezza. Rispetto ai contenuti abbiamo un chiaro invito in EG a ritrovare il ‘profumo del Vangelo’, riannunciando ciò che è più essenziale, bello, grande. Rispetto alle forme, ecco alcune dimensioni da rilanciare: la dimensione della reciprocità, dove non c’è un soggetto che fa e uno che riceve, ma una dinamica di mutuo protagonismo, dove crescere insieme, dove senza il contributo reale dell’altro un progetto non potrebbe sussistere; la dimensione della bellezza, superando la sola logica funzionalistica, operativa o quantitativa, rivolgendosi più ad esperienza intensive e qualitative; la dimensione umanizzante, dove si intercettano i bisogni concreti e reali delle persone, gli ambiti vitali, in modo da orientarli verso desideri grandi, che rivelino l’essenza dell’umano; la dimensione comunionale, perché è nelle relazioni e solo in esse che ci si umanizza.
ANACLETO ANTONINI