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Scuola: è davvero “buona”?

Per il mondo della scuola giugno è il mese dei bilanci. Gli edifici si svuotano, vengono pubblicati gli esiti degli scrutini e c’è il tempo per fermarsi a riflettere sull’anno appena trascorso. La Gazzetta ha da sempre dedicato ampio spazio ai temi della scuola e quest’anno è riuscita in un’impresa ambiziosa: “GazzetTeen”, la rivista che avete trovato allegata al nostro giornale nei mesi di marzo e giugno. Una decina di ragazzi delle scuole superiori della città si sono ritrovati nella nostra redazione e hanno realizzato il “loro” giornale. Ci hanno stupito per la passione, la curiosità e la competenza con cui hanno portato avanti l’impegno preso. Sono di certo un esempio della “buona scuola” che c’è sempre stata, anche prima della legge che si è autofregiata di questo titolo. I “nostri” ragazzi sono stati scelti dai docenti, hanno una passione particolare per il giornalismo e la scrittura, si trovano a loro agio con la tecnologia e ne dispongono con libertà. Alcuni di loro a scuola sono delle eccellenze, gli altri hanno risultati lusinghieri. Ma se andiamo a scorrere i “quadri” affissi agli albi delle scuole vediamo anche un’altra realtà. I ragazzi che accanto al proprio nome, al posto dei voti, hanno una lunga riga bianca che termina con la dicitura “non ammesso/a” o “sospensione del giudizio”. La storia di ciascuno è personale e irripetibile, ma in media si tratta di ragazzi che hanno vissuto i nove mesi di scuola con fatica e insofferenza, senza capire il nesso tra lo studio e l’esperienza personale. Molti di loro hanno sempre avuto lacune in qualche materia, altri giungono alle scuole superiori pieni di interessi diversi dallo studio e sentono come estranee le richieste degli insegnanti. La “sospensione del giudizio”, al di là delle buone intenzioni dei docenti, è spesso un prolungamento della sofferenza vissuta durante l’anno e si conclude per lo più con una promozione che poco incide sulle reali competenze per l’anno successivo. La “non ammissione” rappresenta invece un invito a prendere altre strade. La sensazione finale è che la scuola restituisca gli studenti così come li ha presi. Valorizza quelli motivati, fa sopravvivere chi si arrangia ed espelle quelli che hanno sempre avuto qualche difficoltà. Consolarsi col pensiero che sia giusto fermare chi non si impegna abbastanza non è del tutto sbagliato: mettere i giovani di fronte alla realtà è un modo per farli crescere. Ma la scuola rappresenta uno spaccato troppo limitato di realtà; gli indirizzi di studio sono molti ma in tutti si richiede sostanzialmente la stessa cosa: che gli studenti stiano seduti ad ascoltare un insegnante, che sappiano ripetere quanto viene loro detto e che sappiano usare la logica astratta. Decenni di convegni sulla didattica per competenze e sulla personalizzazione degli apprendimenti hanno scalfito ancora poco un modo di fare scuola che ha certo i suoi pregi, ma che si adatta solo a pochi: quelli che della scuola potrebbero anche fare a meno, perché hanno in sé o nel proprio ambiente sociale gli strumenti per affrontare con successo la realtà.

MAURO PESCETELLI

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