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Spigadoro: “Portiamo il nome di Foligno nel mondo”. Dalle nostre parti sembra che non esista più, ma esporta in 50 paesi dei 5 continenti. Un marchio con quasi due secoli di storia, snobbato in questo territorio

Per la città di Foligno la Spigadoro non esisteva più, invece abbiamo incontrato il dott. Pietro Ercolani export manager dell’azienda che ha accettato di buon grado di parlare con noi.

Ci vuole raccontare la storia dell’azienda di questi ultimi due anni?

Nel 2014 Giuseppe Modella proprietario di un mulino a Santa Maria Nuova di Jesi in Ancona ha rilevato il marchio e dopo un anno anche lo stabilimento. Oggi è l’unico proprietario dell’azienda. In precedenza non aveva partecipato alla vita aziendale. Mi ha chiamato perché avevo lavorato dal 1990 al 2005 alla Spigadoro; sono rientrato il primo settembre 2014 ed è stato proprio un attimo per me accettare, come se i 10 anni in cui sono stato fuori non fossero mai passati. Siamo ripartiti in pochissimi con persone che credevano profondamente nell’azienda e con grande voglia di fare. Abbiamo fortemente creduto in questo progetto. Per un anno la produzione è avvenuta esternamente presso un altro pastificio a cui fornivamo la semola del molino. A dicembre 2015 è stato riacquistato lo stabilimento e dal 01/01/2016 siamo rientrati in azienda.

Quante persone avete riassunto rispetto al passato?

Sono state riassorbite molte maestranze, altre nuove figure sono state assunte tanto che oggi siamo 40 persone rispetto ai 50 che erano in precedenza. Tutte le persone valide sono state riassunte, abbiamo agito liberi dalle pressioni sindacali e politiche, basando la nostra scelta solo sulla qualità.

Qual è il vostro meok - Intervista Spigadoro1 - Copiarcato di riferimento?

Vendiamo in 50 paesi dei 5 continenti , abbiamo ripreso l’80% dei clienti e ne abbiamo acquisiti di nuovi. Esportiamo negli Stati Uniti, in Messico, Repubblica Domenicana; in tutta l’Asia, Corea, Giappone, Panama, Venezuela, Malesia, Libia. Pertanto viaggio molto.

Quali sono stati i punti di forza su cui avete fatto leva?

Leva l’ha fatto il marchio del 1822 altamente riconosciuto all’estero, infatti 50 paesi ci hanno dato fiducia. La città di Foligno non ci ha aiutato ma ce la stiamo facendo: abbiamo riorganizzato la produzione, gli impianti elettrici, le certificazioni e ringraziamo i clienti che ci hanno dato fiducia. Siamo soddisfatti ma abbiamo ancora molto da camminare. Credo che fermarsi con centinaia di ordini da evadere sia stato sicuramente un errore, ma siamo riusciti a ripartire e anche con grande soddisfazione. Lo abbiamo fatto in silenzio e le vendite ci stanno ripagando.

Come interagite con il territorio?

Con un indotto importante, dai fornitori agli alberghi, dalle imprese di pulizie a quelle di trasporto , è un bene per il territorio senza dimenticare le famiglie dei dipendenti che ci lavorano. Non abbiamo rapporti con le Istituzioni e la politica locale, stiamo camminando con le nostre gambe.

Quali figure professionali pensate di aver bisogno in futuro, per dare un po’ di coraggio ai giovani?

Aumentando il lavoro all’estero avremo forse bisogno di figure legate alle vendite. Per quello che riguarda la produzione per ora non abbiamo bisogno di personale, sebbene stiamo ricevendo molte richieste.

Perché il mercato Italiano non vi ha apprezzato?

Il mercato Italiano è stato il motivo principale della crisi, la distribuzione complicata e competitiva, il trasporto frazionato in piccole quantità con pagamenti dilazionati, insomma, un mercato in perdita. Oggi all’estero la Spigadoro è un nome di prestigio con la stessa gamma di produzione di un tempo (trafilati al bronzo, senza glutine, biologici), stessa confezione ed immagine che i clienti ci hanno chiesto di non cambiare e che ci sta garantendo le vendite. Stiamo portando il nome di Foligno e dell’Umbria nel mondo, partecipiamo alle fiere alimentari internazionali. Da poco eravamo a Seul Food 2016 per una fiera con produttori umbri.

PAOLA POMPEI

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