Una Chiesa che non condanna in eterno
Amoris Laetitia: la gioia dell’amore familiare
Il 19 marzo scorso, Solennità di San Giuseppe, Papa Francesco ha firmato l’esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, che recepisce nel magistero pontificio gli orientamenti emersi nelle due assemblee che il Sinodo dei Vescovi ha tenuto nel 2014 e 2015 sul tema della famiglia nel mondo contemporaneo. Molte attese si sono concentrate su questo documento, tra i conservatori che temevano cambiamenti dottrinali e i progressisti che auspicavano il superamento dell’attuale situazione riguardante il matrimonio e la famiglia. Come sempre, il Papa ha spiazzato gli uni e gli altri, confermando integralmente la dottrina e allo stesso tempo capovolgendo l’approccio all’amore familiare, mettendo al primo posto non la norma, ma la situazione concreta delle famiglie e dedicando un documento più alla bellezza dell’amore familiare che non ai temi più scottanti come l’accesso ai Sacramenti. Il Papa, gesuita per vocazione e direttore spirituale per formazione, pone al centro la formazione della coscienza e il discernimento, cioè il punto d’incontro “possibile” tra la Parola di Dio e il Magistero da un lato e la realistica possibilità di aderirvi dall’altro, in un cammino dinamico di perfezionamento. Cosa afferma, dunque, Amoris Laetitia: che i divorziati risposati possano accostarsi indiscriminatamente al Sacramento dell’Eucaristia? No, malgrado questa sia l’impressione che si ricava da certa stampa. Così come stabilito già da Giovanni Paolo II e confermato da Benedetto XVI, si deve giudicare “caso per caso”, senza mai dimenticare l’indissolubilità del matrimonio ma nemmeno la possibilità che coloro che ancora non rispondono in maniera perfetta al matrimonio cristiano stiano compiendo “tutto il bene possibile” e se siano in cammino verso una crescita nella loro risposta alla vocazione matrimoniale. Il Papa, dunque, non dà un “liberi tutti”: anzi, dà ai pastori la grande responsabilità di “discernere, accompagnare, integrare” tutte le famiglie, e specialmente quelle in difficoltà, inserendole nella vita della Chiesa anche se non nella Comunione sacramentale. Sta a loro, ai vescovi, ai parroci, ai confessori, ai direttori spirituali il compito di far sì che l’attenzione alle famiglie concrete, alle loro ferite e alle loro situazioni a volte imperfette non relativizzi il bene della chiamata alla santità nel matrimonio e il male del peccato. In definitiva, si tratta della sempre valida distinzione tra gli orientamenti generali della teologia morale fondamentale e la loro applicazione nel caso concreto che è il campo della teologia morale speciale ed ha a che fare con la coscienza dei singoli, che non è il dominio dell’arbitrio, ma quel laboratorio in cui l’uomo è solo con Dio e si pone in dialogo con lui per valutare le proprie azioni. Ponendo al centro della pastorale familiare non un modello ideale, e pertanto difficilmente raggiungibile ancorché affascinante, ma la concretezza delle famiglie, il Papa più che “fare aperture” domanda alle famiglie e alla Chiesa di “aprirsi alla grazia”, raccomandando uno sguardo pieno di misericordia e comprensione per le famiglie in difficoltà, che a loro volta sono invitate con forza ad accogliere la grazia e a mettersi in cammino.
FABIO MASSIMO MATTONI