Quando Cenerentola cambia finale
Da Foligno, storie di migranti: “Nel deserto pagavamo anche per andare in bagno”
Se le favole da piccini ci hanno insegnato qualcosa è che a volte la realtà supera l’immaginazione. Perché a volte accade anche questo: che Cenerentola, per avere il suo bel finale, sia costretta a scappare.
Ivor viene da Brikama, una delle città più grandi del Gambia, patria di Kunta Kinte. La sua faccia da bambino su gambe da stambecco fa sciogliere il cuore; Ivor ha dovuto fare i conti molto presto con il mondo dei grandi, forse è per questo che è diventato così alto. Si presenta da noi con una lunga lista di frasi che vuole traduca in italiano. I miss my mum è una delle prime. Accanto, il vuoto dei quadretti che attende la nostra scrittura.
La sua mamma si è risposata appena dopo la morte del marito. “Non sono mai andato a genio al mio patrigno. In Gambia è così, ti mettono in galera per cose inutili, basta aver discusso con qualcuno. Pure io sono entrato e uscito di prigione tante volte. E non potevo dire nulla alla polizia perché il mio patrigno conosceva molte persone. Un giorno mi ha minacciato con un coltello e si è ferito da solo. La Polizia mi ha dato la caccia per tre giorni fino a che un amico mi ha suggerito di scappare. Non era possibile continuare a fare quella vita.
Il Sahara è pericoloso. Nel deserto tutto è soldi, se vuoi andare al bagno devi pagare e se vuoi bere devi pagare ancora. All’inizio ti viene detto tutto: sai che dovrai comprare una maschera di stoffa e degli occhiali da sole e sai anche che se cadi non si fermeranno. Se cadi, anche se hai pagato, i trafficanti ti lasciano nel deserto. Nel pickup stai stipato, i tuoi bagagli li buttano via mentre i tipi che guidano hanno aria condizionata e musica alta per non sentire le nostre grida.
Arrivati in Libia ti aspetta finalmente il lavoro. Non lo sai prima che tutti girano con la pistola e che persino i bambini sparano per gioco.
Un giorno ho visto un gruppo di ragazzi neri; ho pensato che stare con loro sarebbe stato più sicuro ma non sapevo si sarebbero imbarcati per l’Italia. Un vecchio di Tripoli aveva avuto pietà e aveva offerto ad un mio amico tutta la quota per la traversata. A me i soldi li avrebbe spediti mia madre da casa. Poco dopo ero su una specie di barca assieme a 110 persone. Dopo due giorni avevamo finito il carburante ed eravamo fermi. Proprio mentre pensavamo al peggio è passata una nave cinese che ci ha lanciato delle corde per salire. Appena abbiamo capito che era diretta in Libia, tutti hanno iniziato a piangere. Gridavano che se avessero visto le coste libiche si sarebbero buttati in mare. Piuttosto che morire in Libia avrebbero preferito morire in mare. In Libia la gente pensa che i neri non siano esseri umani e che non sentano il dolore. Mentre sei per strada ti portano a casa loro a lavorare come un asino. Nella nave ci rassicuravano che ci avrebbero portato in Italia ma noi continuavamo a piangere e io avevo perso il mio amico in mare. Solo quando abbiamo visto l’acqua così blu abbiamo capito che era davvero l’Italia”.
Cenerentola non sa se, a questo punto della storia, si fermerà in Italia, né dove sia il suo finale: sa solo che non può tornare a vivere con la matrigna. Forse è bene chiedersi cosa dirà di noi la storia. In molti storcono il naso di fronte alla possibilità che altre pagine vengano scritte nel nostro paese o nella nostra città. Pasolini diceva: “Chi si scandalizza è sempre banale. Ma, aggiungo, è sempre male informato”.
FRANCESCA BRUFANI