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Fuggito per una macchina da cucire

“A Foligno abbiamo perso un tesoro”. La storia dello stilista africano sbarcato in Sicilia per il nord Europa

Taylor ha lasciato Foligno una mattina di settembre. Qui tutti lo chiamavano così, perché nella sua lingua madre ricordava la parola inglese per “sarto”. Una dizione che per la verità sa di latino – taliare – e che Taylor impersonava alla lettera con le sue sforbiciate veloci. A noi piaceva chiamarlo “Taylor mani di forbice”, un po’ per scimmiottare il film, un po’ per prenderlo in giro. Da piccolo il padre aveva pensato di avviarlo alla professione di sarto: un’intuizione fortunata perché senza aver mai mostrato del talento, Taylor si era rivelato ben presto un abile stilista.
Un giorno Taylor ci ha chiamato. Aveva in regalo una camicetta blu notte, ricavata da una qualche tovaglia e confezionata con la macchina da cucire prestata da qualche buona signora.
Qualcuno sembra intendere che Taylor abbia cucito la nostra blusa tutta a mano; ma in fondo c’è sempre un motivo per cui le cose si fraintendono. Così, rimbalzata la storia di bocca in bocca e impietosita dal giovane-mani-di-forbice, una benefattrice decide di regalargli la sua macchina da cucire. Taylor aveva abbracciato emozionato il suo dono, Tu non sai cosa significa per me. “Quando è morto mio padre volevo acquistare una macchina da cucire per aprire un’attività e guadagnare il necessario per la mia famiglia. Il fatto che il negozio dove lavoravo non fosse mio non mi permetteva di guadagnare molto né di avere strumenti di lavoro miei. Volevo vendere un terreno ereditato da mio padre, ma alcuni parenti me lo hanno impedito sostenendo che fosse il loro. Nel mio paese è così, è impossibile far valere le tue ragioni davanti a un uomo anziano, specie se non hai più la protezione paterna. È così che sono finito in pericolo per una macchina da cucire”.
Forse è perché nella vita tutto segue un filo che Taylor è dovuto arrivare a Foligno e viaggiare sei mesi tra il deserto e il mare per avere la sua macchina da cucire. Un prezzo alto, ma Taylor aveva pensato di dire lo stesso il suo grazie a Foligno facendo volontariato al Vestiario Caritas, dove sognava tra gli abiti e guidava altri poveri nella scelta degli indumenti. “Vorrei vestire tutte le donne africane di Foligno – aveva confessato un giorno – e creare abiti che fondano l’Africa con l’Europa per quelle di Foligno”. Del resto le sue mani di forbice venivano da una terra dove gli abiti servono anche a raccontare chi li indossa, la sua appartenenza tribale, la sua fede.
Per strada a Foligno qualche sconosciuta ci ferma chiedendo notizie delle camicie africane che indossiamo. È vero che i suoi abiti parlano – pensiamo – perché permettono che si racconti la sua storia.
Taylor oggi non ha potuto realizzare il suo sogno ed è partito per la Svezia dove ha già trovato lavoro come stilista in una bottega etnica.
Qualcuno, ascoltando questa storia, ha detto che lasciando andare questi rifugiati “stiamo perdendo dei grandi talenti”. In fondo non siamo così lontani all’Edward di Tim Burton che nell’epilogo del film rimane solo. Con il suo talento e con le sue mani di forbice.

FRANCESCA BRUFANI

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