luciano gregori

“Lascialo andare per le tue montagne”

Don Luciano Gregori festeggia cinquant’anni di sacerdozio

Le prometto che non le faccio interviste. Anche se cinquant’anni di sacerdozio…
(Agata mi fa accomodare con gentilezza, mentre giunge, dall’altra stanza, la risata di don Luciano. Montagne e libri ci sorvegliano discreti dalle pareti. Le icone chiamano all’insondabile oceano del silenzio. Le foto dei propri cari dicono tutta la forza di una storia d’amore. Ed ecco don Luciano, lieto…)
Nulla da dichiarare.
E mica sono qui per farmi rilasciare dichiarazioni! Anche se…
Guarda che non c’è granché da dire…
Questo non è vero, ma se proprio non vuol dire niente… se proprio non se la sente di riassumere cinquant’anni di vita consacrata…
Riassumerla?
Riassumerla.
«Senza di me non potete far nulla». Penso che queste parole di Gesù possano ben compendiare le sensazioni che cinquant’anni di sacerdozio portano con sé.
Un riconoscimento dei propri limiti?
Molto sereno ed anche molto sincero. La coscienza dei propri limiti è riconoscersi bisognosi della vicinanza di Dio. Senza di Lui nulla possiamo: vale per ogni aspetto del nostro operare e vale anche per il ministero del sacerdote.
Non le provoca, questo traguardo dei cinquant’anni, una vertigine del cuore? Cosa prova a guardare alla sua storia personale di sacerdote?
Provo certamente una molteplicità di sensazioni e la prima fra queste è lo stupore, stupore per i tanti meravigliosi momenti vissuti, come dice il Papa, nella vigna del Signore. Ma sappi che io guardo avanti!
Ai prossimi cinquanta?
Sai cosa penso? Che in un anniversario la cosa davvero importante non sia tanto quella di fermarsi a ricordare, quanto piuttosto quella di apprendere, imparare, valutare e ripartire cercando di non ricadere negli errori passati. Un buon esame di coscienza: ecco la luce con la quale illuminare il nostro passato. Un esame di coscienza che non serva a scoraggiarci, ma a considerare il tempo che resta come un’opportunità che il Signore ci dà.
Guardando a questi primi cinquant’anni, mi aiuta a descrivere la storia della sua vocazione?
Vedi, io sono convinto che la storia di una vita sacerdotale non sia semplicemente la storia di un uomo qualunque, ma sia la storia di Dio in un uomo scelto da Dio per il bene degli uomini.
Quindi la risposta alla chiamata del Signore è anzitutto una risposta di disponibilità…
Ma non basta: è rendersi disponibili a lavorare nella vigna, è donarsi alle anime, nella consapevolezza, umile e decisa, che la nostra disponibilità è riempita e corroborata dalla Grazia di Dio. Solo così si può condurre a buon fine la nostra opera. Non c’è tempesta o burrasca, non ci sono crisi o impedimenti che possano farci dubitare. «Io sono con voi per sempre, tutti i giorni»: questa è la verità! Non siamo soli a lavorare.
Lei sa che quelli della mia generazione sono cresciuti attorno a don Ernesto. E sa anche che, quando vengo da lei, voglio sempre parlare un po’ di lui: e anche stavolta non derogo alla norma! Che parte ha avuto don Ernesto nella sua scelta e nella storia della sua vocazione?
Non è stato determinante…
Attento a quello che dice…
(don Luciano sorride e io noto che gli occhi sono buoni, umili e chiari come quelli di don Ernesto, che da una foto alla parete ci guarda con quel suo sorriso che da ragazzini ci regalava sempre. Lo amavamo tutti in modo spontaneo, naturale, immediato)
Voglio dire soltanto che avere avuto uno zio sacerdote non è stato determinante per la mia vocazione. Certo la sua spiritualità resta un’eredità preziosa per chiunque l’abbia conosciuto, ma non posso dire che mi abbia incoraggiato o favorito in qualche modo nella scelta che avevo maturato nel mio dialogo con il Signore. Anzi, don Ernesto era con me estremamente esigente e realistico. Ed anche questo era un segno della sua sapienza spirituale.
Il suo confessionale sempre affollato di anime…
Umiltà, saggezza umana e spirituale. Doni inestimabili del Signore. Un uomo la cui spiritualità non veniva fuori dalla – chiamiamola così – «grande cultura» (sebbene ti assicuro che anche da questo punto di vista fosse da ammirare), ma dall’umiltà. Ecco perché attirava così tante anime al suo confessionale! La sapienza spirituale è la caratteristica dell’uomo di Dio!
50esimo don Luciano - don luciano gregoriLo zaino era più leggero dopo aver parlato con don Ernesto…
(don Luciano sorride perché ha capito perfettamente dove voglio arrivare)
Vedi quella? (E mi indica una foto che lo ritrae in vetta, occhiali da sole e piccozza alla mano. Cime nevose sullo sfondo, sotto il cielo azzurro)
Lo so: Gran Sasso!
Anche lei, anche la montagna è stata per me una grande maestra di vita, soprattutto per l’aspetto formativo, per l’esercizio di quelle caratteristiche di volontà, impegno, sforzo e sacrificio che sono poi un utile allenamento per la vita. E poi, per me sacerdote, la montagna è stata una cospicua opportunità di incontro con tante persone, con tante diverse esperienze di vita.
La montagna come metafora…
Mons. Benedetti, nel suo programma pastorale, aveva questo motto: «Camminare insieme». Ecco: ho cercato di non dimenticare mai queste parole ed ho voluto vederle concretamente realizzate nelle persone – tante persone – che ho avuto al mio fianco con lo zaino pieno. Salire con il peso di una preoccupazione, di un’angustia che preme sul cuore, e tornare a casa più leggeri, dopo una giornata a contatto con la severità ma anche con la bellezza inenarrabile della natura, in un clima di amicizia e di dialogo.
E il sacerdote scalatore era lì…
Fra i picchi e i sentieri, le cime e le gole, l’asprezza della roccia, il bianco delle nevi, il nitore del cielo è possibile che l’uomo senta più acuta la nostalgia di Dio e il cuore si apra, l’animo cerchi quella Parola che sembra avere proprio il silenzio delle montagne come prezioso sottofondo. Diceva Giovanni Paolo II che le montagne, con la loro maestosità, parlano di Dio.
In questa ascesa quali potrebbero essere, secondo lei, le doti che un sacerdote dovrebbe avere per conservare la fedeltà alla propria vocazione?
L’obbedienza al Vescovo anzitutto. Avrei potuto risponderti indicando altre qualità importantissime, come la cultura, la spiritualità, oppure doni come una buona salute per poter sempre operare con energia e vigore per il bene. Ma io ti dico l’obbedienza al Vescovo. Questa è la dote che non deve mancare mai: senza l’obbedienza non ha senso essere nella Chiesa. Cinquant’anni fa io ho promesso obbedienza al Vescovo ed ai suoi successori. La Verità è sempre Lui, «obbediente fino alla morte» (Fil. 2, 8).
A me non piace parlare di crisi delle vocazioni, ma dal suo punto di vista la realtà nella quale viviamo ostacola un serio percorso di discernimento? Oppure la vocazione è una questione solo individuale?
Mi fai una domanda che ci porterebbe lontano, in approfondimenti complessi e alla quale preferisco non rispondere. Ma una cosa te la dico…
E io sono qui per ascoltarla…
…la cosiddetta crisi delle vocazioni deriva essenzialmente dalla crisi della famiglia. Non sempre la famiglia è il terreno adatto per favorire una vocazione, anzi spesso è proprio il luogo in cui una scelta di questo tipo è scoraggiata, ostacolata e non di rado preclusa. Del resto la figura del sacerdote è la figura di colui che serve: non prevede prospettive di carriera o di benessere. Le nostre società insegnano a lavorare per sé; un sacerdote è al servizio degli altri. Per amore. Solo per amore.
Sull’amore questa conversazione può finire.
Mi hai promesso che non pubblicherai.
E mica faccio scherzi da prete io! Una promessa è una promessa. Ma al prossimo cinquantesimo l’intervista non gliela toglie nessuno…
(Adesso abbiamo da guardare mille fotografie: l’Infernaccio, il Bottaccione, il lago di Pilato, la Maiella, il Pian Grande. E poi ho mille domande da fare: Leggiana, Scopoli, la valle del Menotre, chi è questo bimbo in groppa al somaro, qui dove sta, di là cosa fa… Don Luciano, che mi vuole bene, sorride con pazienza e racconta. Anche don Ernesto sorride).

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