Quintana, un laboratorio di valori per i giovani
Molte ombre offuscano una classe di giovani sempre più bistrattata, messa all’angolo dalla crisi e da prospettive di vita traballanti. I fatti che affollano le pagine di cronaca raccontano di una generazione in bilico, distante dai propri genitori e ambasciatrice di uno stile di vita, nel quale spesso, la notte e il giorno sembrano alternarsi in ordine di priorità.
Anche Foligno ha recentemente sperimentato la confusione logistica e sociale dovuta alla cosiddetta “Movida”. Eppure, in questa profonda crisi generazionale esiste una nota lieta: la Quintana e suoi Rioni. Il motivo è semplice. Scomodando un celebre sociologo americano, Talcott Parsons, fondatore dello struttural-funzionalismo, possiamo affermare che i Rioni rimangono delle vere agenzie di formazione sociale, come la famiglia, la scuola ed ogni ente di socializzazione. La natura democratica ed egualitaria, collaborativa e goliardica che si respira nei Rioni favorisce l’interiorizzazione di quella scala valoriale così distante dai nostri ragazzi, almeno in apparenza.
Allora, lasciamo spazio alla voce di chi vive in prima persona la dimensione rionale, di chi può descrivere quella solida architettura che sorregge uno spirito quintanaro, nel quale tradizione e modernità rappresentano una perfetta sintesi sociale. Lasciamo che Simone Salvucci, giovane tamburino e scudiero del Rione La Mora, possa raccontarci la propria esperienza.
Anzitutto, possiamo darci del tu?
Sì, assolutamente.
Simone, da quanto tempo fai parte del Rione e come hai mosso i primi passi?
La mia famiglia appartiene al rione La Mora da ben tre generazioni. Mio nonno prima, mio padre poi. Ora ci sono io che porto avanti il lavoro iniziato da mio nonno all’interno del Rione quando la Quintana muoveva i suoi primi passi. Ricordo che già da piccolo andavo in taverna con i miei genitori…
Che cosa rappresenta per te la vita rionale? Quale atmosfera si respira in taverna?
Il rione è una parte fondamentale della mia vita, una passione che dura 365 giorni all’anno. Dopo una lunga gavetta oggi sono parte integrante della scuderia (sorride, ndr). L’atmosfera? Gioia, unione e spirito di aggregazione. È il volontariato il motore della Quintana, che unito alla passione ci guida verso il raggiungimento degli obiettivi.
Se ti chiedessi tre aggettivi per descrivere la tua esperienza?
Unica, formativa e passionale.
In molti lamentano che oggi come oggi la Quintana sia soltanto l’ennesimo pretesto, almeno per i più giovani, di fare confusione ed alzare il gomito fino a tarda notte. Sei d’accordo?
È un errore generalizzare, etichettando la Quintana come un mera occasione per alzare il gomito. Il mese di apertura delle taverne, ad occhi estranei, può sembrare l’essenza della manifestazione, ma non è così. Ciò che noi offriamo è il compimento di un lavoro annuale. Chi fa parte di un Rione conosce le parole rispetto e collaborazione, ci tengo a sottolinearlo.
Appartenere ad un Rione non significa forse far parte di una “grande famiglia”?
Sicuramente sì. Il Rione diventa nel corso del tempo una seconda casa, un luogo dove passione e amicizia collimano all’unisono. La Quintana è sinonimo di aggregazione: ogni Rione è un piccolo popolo, nel quale ognuno di noi recita un ruolo fondamentale.
Da ultimo, per le nuove generazioni l’avvicinamento ad un Rione può essere un passo verso il loro percorso educativo e di crescita personale? Che cosa consiglieresti?
Se dovessi dare un consiglio ad un giovane che intenda far parte di un Rione, gli direi che si tratta di un’esperienza indimenticabile e che regala emozioni uniche. Posso aggiungere inoltre che all’interno di una taverna si è a contatto con i valori essenziali della vita: il rispetto dei ruoli, l’educazione e uno spirito collettivo che unisce più generazioni. Il Rione non conosce età, sesso o razza.
GIOVANNI BARTOCCI