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La ricchezza? Rende più fragile la Chiesa

Se c’è un insegnamento che si può trarre dalla vicenda della vicina diocesi di Terni Narni Amelia, che ha condotto nei giorni scorsi il Pubblico Ministero a chiedere il rinvio a giudizio, tra gli altri, dell’ex-vescovo della città Mons. Vincenzo Paglia, un insegnamento per il quale non è necessario attendere lo sviluppo processuale, è che la grande disponibilità di beni ed il credito politico di cui la Chiesa gode nel nostro paese la espongono ad elevati rischi. Al centro dell’inchiesta c’è l’acquisto, risalente a circa quattro anni fa, del castello di San Girolamo a Narni, effettuato della IMI Immobiliare srl, ma, sembra, utilizzando denaro della diocesi di Terni. Si tratta di una questione intricata che si mescola, almeno nel chiasso della comunicazione mediatica, a quella dell’ingente debito che la stessa diocesi ha accumulato negli anni (pare 25 milioni di Euro).
Indipendentemente da come andrà il processo, sempre se ci sarà un processo, e ricordando anche a costo di essere noiosi che tutti sono innocenti fino a che una sentenza di condanna definitiva non dica il contrario, la storia, anche solo tratteggiata, ci fa intravedere i rischi che corre una Chiesa dalla quale transitano tante risorse. Vi è innanzi tutto il rischio di attrarre approfittatori, persone capaci di ingraziarsi la fiducia dei prelati, spesso poco preparati in questioni economiche e gestionali, al solo scopo di trarne profitto per sé o per altri. Il secondo rischio è quello che la gestione delle cose materiali assorba una buona parte delle risorse disponibili, a scapito delle attività pastorali. Il grande numero di beni, soprattutto immobili, e la relativa gestione, che spesso passa per una molteplicità di strutture collaterali (opere pie, congregazioni, confraternite, associazioni, fondazioni) può, anziché generare un beneficio all’azione pastorale, pesare come una zavorra, anche perché tali gestioni coinvolgono la Chiesa in relazioni con molteplici interlocutori economici e politici.
Infine, l’efficacia dell’azione evangelizzatrice non dipende dalla quantità dei mezzi dispiegati. Ritenere che esista una relazione diretta tra l’impiego di risorse materiali e l’efficacia dell’annuncio omologa il messaggio cristiano ad un qualsiasi prodotto o servizio.
Naturalmente una Chiesa incarnata non può fare a meno di utilizzare tutti i mezzi terreni, compresi quelli finanziari, ma deve guardarsi dai rischi che questi rappresentano. Nell’attuale fase storica, anche considerando la diminuzione del numero dei sacerdoti diocesani e dei religiosi di molti ordini, la sola mole dei beni posseduti, che a volte hanno anche un elevato valore storico ed artistico, rischia di essere un elemento di fragilità, anziché un punto di forza.

VILLELMO BARTOLINI

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