PROTEMUS

La carità nel segno di ProTe[M]us

PROTEMUSUn accordo di intelligenza fra silenzio e musica. Fra il gesto e la parola. Fra il colore e la sua assenza. Una scenografia che si imprime audace nella frazione della quarta parete e che, rileggendo lo spazio, ne occupa la continuità, reinterpretandola. La recherche di un tempo della carità e dell’incontro oltre i limiti ideologici e tetri di ogni muro, mai dimenticando che l’azione d’Amore agisce sempre ed ovunque, inarrestabile e fertile come l’acqua. Questo e molto di più è stata la prima dello spettacolo L’eco della pioggia, che il 24 aprile scorso ha letteralmente rapito gli spettatori nella splendida cornice di un Teatro San Carlo rinnovato in molte sue parti costitutive ed essenziali. Ancora una volta Protemus ha dimostrato di sapersi costituire come nucleo essenziale di incontro e di formazione per i giovani, centro propulsore vivificato dall’attenzione continua del Servizio di Pastorale Giovanile della nostra Diocesi, cui va il riconoscimento di un impegno qualificato ed assiduo. A Giacomo Nappini, regista, e Michele Pelliccia, direttore musicale, va anzitutto ascritto il merito – al di là del valore artistico di un’opera che va comunque ad inserirsi come una delle proposte più accattivanti e filologicamente ragguardevoli nel campo della drammaturgia giovanile nazionale – di aver saputo coordinare non tanto un centinaio di ragazzi ciascuno con la loro precipua individualità, ma di averne avvalorato l’entusiasmo, la forza trascinante, l’energia cinetica che, durante lo spettacolo, è sprizzata inarrestabile nel canto e nella danza o si è concentrata negli sguardi dei tempi del dialogo, dei silenzi e dei gesti. Perché questo non è sfuggito agli spettatori: la volontà dei protagonisti di dare vita a qualcosa di importante, il desiderio di donare un messaggio di speranza come solo la gioventù, con la sua forza trascinante, sa fare. Ma la serata aveva dato inequivocabili segni di sé già nel saluto del nostro Vescovo Gualtiero Sigismondi, il quale ha accolto il pubblico come espressione di una familiarità che al Teatro San Carlo è legata anche da una consuetudine affettiva, oltreché culturale. Un teatro che, grazie all’intervento insostituibile della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno, si è potuto presentare, come accennavamo all’inizio, in una veste restaurata. Michele Pelliccia, accantonando un istante le sue vesti di architetto della musica (il copyright è del Vescovo Gualtiero!), è tornato ad indossare quelle di ingegnere ed ha spiegato che il teatro è stato interessato da interventi di ristrutturazione che consentiranno una maggiore fruibilità di tutto l’impianto. La sostituzione di un palcoscenico ormai marcescente (risalente pur sempre agli anni Trenta), dei tendaggi, l’ampliamento della buca d’orchestra nonché la riqualificazione di tutta la luminotecnica – tra l’altro con felicissima resa cromatica – restituiscono alla città uno stabile degno di un grande futuro culturale. Molta soddisfazione anche nelle parole del presidente della Fondazione Carifo Alberto Cianetti, al quale il Vescovo Gualtiero ha voluto dedicare la serata: e certamente agli spettatori non sarà sfuggita una certa sobria commozione del presidente, all’atto di concludere il suo mandato presso la Fondazione. Forti ed intense anche le parole del vicesindaco, prof.ssa Rita Barbetti, nella quale la precisa puntualità e la rigorosa osservazione dell’amministratore pubblico si sono unite all’occhio (ed al cuore) didattico dell’insegnante, dell’educatore attento alla valorizzazione delle individualità al fine della costruzione di una collettività consapevole e partecipata. In questa cornice, che dimostra il virtuosismo di sinergie che sanno operare insieme, è nato uno spettacolo intenso e bellissimo, nel quale il regista ha saputo coniugare il testo scenico nella pluralità dei linguaggi: la scena conclusiva della pioggia, ridata all’orecchio dello spettatore con la gestualità stupenda delle mani (con citazione di realtà quotidiana tradotta in strumento di musica), si imprime come elemento di congiunzione tra i linguaggi. Notevolissima anche l’eloquenza del gesto, ora lento ora più vivace ora libero di declinarsi nella ricchezza della danza, da quella classica a quella moderna (chi, fra gli spettatori, non si è ritrovato a canticchiare The Wall?). Elementi che, considerati nel loro insieme, hanno sorretto il messaggio che L’eco della pioggia ha voluto trasmettere: il fatto che la Carità supera ogni muro, abbatte ogni pregiudizio, sana ogni ingiustizia. E mentre lo spettacolo giungeva alla sua conclusione, si levavano fresche e salutari come l’acqua parole che lo spettatore porta con sé: «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta […]».

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