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La Madonna di Kazan nello spazio

È diverso dal sovietico Yuri Gagarin, primo cosmonauta della storia, quello russo che ha affisso sulla parete della navicella spaziale, dove è imbarcata anche l’italiana Samantha Cristoforetti, l’immagine della Madonna di Kazan, la stessa che Putin dopo averla baciata ha regalato a papa Francesco. Quello, infatti, di ritorno dallo spazio, si dice che abbia detto di non aver visto volare lassù nessun dio. Non è questa, però, la prima volta che la Madonna di Kazan si muove nei cieli a bordo di un velivolo. Ciò era già avvenuto in passato in un’occasione drammatica. Quando, nel giugno del 1941, le armate di Hitler invasero l’Unione Sovietica furono inizialmente accolte come liberatrici dalle popolazioni, dalla Finlandia alla Georgia passando per Lettonia, Lituania, Estonia, Russia Bianca e Ucraina. Nell’occasione si formò un’armata di circa un milione di ex soldati sovietici, l’armata di Vlasov, che combatté coi Tedeschi, nonché diverse e consistenti formazioni di SS formate da Lettoni, Estoni, Tartari della Crimea, Georgiani e Cosacchi del Don disposti tutti a combattere contro l’ateo regime comunista e, pertanto, entusiasti persecutori di ebrei. Stalin restò basito per due settimane e solo dopo si decise a rivolgersi ai suoi sudditi chiamandoli non compagni e compagne ma fratelli e sorelle della Madre Russia e li richiamò alla difesa della patria dallo straniero che di nuovo da occidente l’invadeva. Detto ciò, arrivati i Tedeschi nei pressi di Mosca, l’ex seminarista di Tiflis prese l’immagine della Madonna di Kazan e la fece imbarcare su di un aereo che girò tre volte sopra la capitale. Poi tirò fuori dalle patrie galere i popi scampati ai suoi stermini e fece per loro ripristinare le chiese ortodosse, quelle non distrutte, già ridotte in palestre o magazzini. Nel mentre i preti cattolici e luterani di Ucraina, e Lettonia, come gli imam dei Tartari della Crimea, erano schierati con i “liberatori” di Hitler e la loro crociata anticomunista, antigiudaica e, in fondo in fondo, antirussa. Dopo di che i Russi, da quel popò di popolo che sono, combatterono come hanno combattuto in difesa del suolo della Madre Russia della quale la Madonna di Kazan è epifania e protettrice. Tant’è che già i Sovietici ieri, e a maggior ragione i Russi oggi, la seconda guerra mondiale non la chiamano la “grande guerra antifascista” come, invece, fanno gli Italiani, che per altro del fascismo sono stati gli inventori e come fascisti hanno invaso la Russia per liberarla dal comunismo, ma la “seconda grande guerra patriottica”. La prima è quella combattuta contro Napoleone dalla Russia dello zar Alessandro I, convinto reazionario promotore della Santa Alleanza, che segnò la fine del despota rivoluzionario e ispirò Guerra e pace. Ricordo a tal proposito la significativa celebrazione, all’epoca sorprendente quanto inquietante, che fece l’Armata Rossa del 150esimo anniversario della battaglia della Beresina nell’autunno del 1962. Erano i giorni della crisi dei missili a Cuba. Recentemente Putin ha voluto reinserire l’imperiale aquila bicipite sulla bandiera russa, quella presidenziale. Ciò è avvenuto dopo la riesumazione della famiglia dello zar Nicola II, sterminata per ordine di Lenin da un plotone della CEKA, i cui membri, beatificati come santi martiri della chiesa ortodossa, sono stati sepolti a San Pietroburgo nella basilica dei Santi Pietro e Paolo. L’aquila che stringe con gli artigli lo scettro e il globo sormontato dalla croce è quella che fu dello zar e prima ancora del basileus di Costantinopoli, la “seconda Roma”, e riconferma Mosca come la “terza Roma”. L’aquila è quella dei Romanov, ha sul petto l’immagine di San Giorgio che trafigge il drago, il santo protettore dei cavalieri crociati. Ciò “significa” che la Russia non è terra da invadere né da cercare di convertire e che la sua guida anche oggi si incarica di difendere dall’islam, come da altri nemici, i cristiani ortodossi in quella che fu la pars orientis dell’Impero Romano andando in soccorso direttamente o indirettamente di cristiani copti egiziani ed etiopi, monofisiti siriaci, cristiani cosacchi, armeni, ucraini e serbi. I Russi chiamano il loro paese la Madre Patria, effigiata con la spada in mano rivolta verso occidente in una statua che sovrasta Stalingrado molto più grande di quella della libertà di Nuova York. Come tale in modo consapevole la vivono, orgogliosi del loro passato imperiale e ortodosso di origine bizantina e slava, e vengono educati ad esserne degni eredi come l’immagine della Madonna di Kazan nello spazio e l’aquila imperiale sulla bandiera presidenziale mostrano e dimostrano. Per essa, se minacciata, penso che siano disposti, oggi come lo sono stati ieri, a fare la guerra, quella vera, e, costi quel che costi, a vincerla come hanno avuto modo di sperimentare Napoleone e Hitler ieri e come si sta vedendo in Cecenia oggi. È quello russo, infatti, il fronte dove i jihadisti dell’internazionale mussulmana non praevalebunt e questi, che a differenza degli Americani e anche di noi la storia la conoscono, lo sanno e, pertanto, credo che su quel teatro di operazioni non si fanno illusioni più di quel tanto.

IVO PICCHIARELLI

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