La domanda vera della Chiesa di oggi
Il 50° del Vaticano II, la beatificazione di Paolo VI, il Sinodo dei vescovi sulle sfide pastorali della famiglia, il prossimo Convegno ecclesiale di Firenze su Cristo e il nuovo umanesimo: il filo rosso che lega i quattro eventi è la domanda su come la Chiesa debba oggi presentare Cristo, l’uomo nuovo, che “svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa conoscere la sua altissima vocazione” (GS 22). La doppia fedeltà della Chiesa al Vangelo e al proprio tempo la interroga su come aiutare oggi l’umanità a comprendere, nella libertà, la Verità che salva. Il Vangelo non cambia, cambia invece rapidamente il tempo e si fa più urgente comprendere meglio l’uno e l’altro. La post-modernità in cui viviamo rappresenta una sorta di secolarizzazione compiuta. Il termine “secolarizzazione” non compariva nei Documenti del Concilio, ma oggi il suo significato è chiaro: dalla progressiva eclisse del sacro e della pratica religiosa si è passati alla crescente marginalizzazione sociale e culturale della religione dagli spazi pubblici. Con la fine del regime di cristianità, sancita dal Vaticano II, era acquisita l’autonomia della politica, dello Stato, della cultura, della scienza, e la Chiesa annunciava una evangelizzazione nuova, in dialogo cioè con il mondo moderno e attenta ai segni dei tempi. Il Concilio però non poteva immaginare gli esiti attuali della post-modernità, in cui la religione è sempre più esclusa o sospesa nei principali ambiti della vita sociale e privata, in cui l’individuo rivendica il diritto di organizzare liberamente la propria vita morale e familiare e di autorealizzarsi con le sue sole forze. Ma una religione che non entra più in tanti campi della vita concreta delle persone, finisce col diventare irrilevante per l’esistenza. O, se irrilevante non lo è del tutto, provvede il soggettivismo a spingere, in nome della libertà di coscienza, verso un’adesione frammentata e selettiva, o magari a chiedere alla Chiesa benedizioni e ratifiche di scelte che confondono spesso il capriccio con i diritti inalienabili. Da una parte, dunque, l’uomo secolare post-moderno, sempre più critico verso la religione e sospettoso verso la Chiesa, dall’altra la Chiesa, mandata ad annunciare in modo credibile e amorevole il Dio di Gesù Cristo. La nuova evangelizzazione porterà frutti se saprà parlare all’uomo di oggi, ma con lo stile dialogante del Concilio. Il linguaggio evangelico e quello post-moderno sembrano divergenti, eppure il primo deve tradursi, comunicarsi e rendersi più comprensibile al secondo. La Chiesa che cerca un nuovo inserimento nella società secolarizzata lo fa senza nostalgie o separatezze, senza lo stile intransigente e autoritario, ma proponendo i suoi valori e annunciando la verità del vangelo come un dono di salvezza offerto alla libertà di chi vorrà accoglierlo. Lo fa “agendo secondo verità nella carità” e dunque rispettando la libertà dell’adesione di fede e la gradualità del cammino. L’ascolto dell’uomo post-moderno chiede soprattutto la riscoperta di Dio come “amante della vita” e l’accoglienza umana verso tutti che Gesù ha praticato, rivelando così il volto misericordioso del Padre.
ANTONIO NIZZI