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Omologa, eterologa e i problemi a monte

Le domande poste dal Dott. Angelo Filardo (Gazzetta n. 33) sulla fecondazione in vitro eterologa in Umbria e più in generale nel Paese meritano più attenzione. Se l’eterologa, avere cioè figli con ovociti e seme di donatori, non è una terapia – perché non rimuove le cause dell’infertilità, non le indaga e le lascia irrisolte -, chi si prende cura della sterilità? Chi interviene per tempo a livello di prevenzione? Chi sulla tutela della fertilità? Eppure i dati annuali forniti dal Ministero della Salute non lasciano tranquilli: su 525mila nati, con il 20% da genitori stranieri, le fecondazioni artificiali registrate – ovvero gli embrioni trasferiti – sono state 105.000, anche se le nascite un po’ meno di un decimo (9.800). In Umbria il rapporto è stato di 655 a 74. Il tasso di infertilità del Paese pare dunque negli ultimi anni in notevole aumento, anche a livello maschile. Non aumenta invece l’attenzione del Servizio sanitario nazionale per capire i motivi del declino e intervenire anzitempo sulle diverse patologie. Gli esperti del rischio infertilità dicono che la prevenzione andrebbe fatta soprattutto nei soggetti in sovrappeso, in quelli che fanno uso di droghe anche leggere o che contraggono malattie sessualmente trasmesse. Altri studi fanno riferimento ai molti cambiamenti repentini degli stili di vita e all’età media della prima gravidanza che è attorno ai 35 anni, quando il concepimento diventa molto più difficile. C’è infine chi porta l’attenzione oltre l’efficienza e l’integrità della capacità riproduttiva, ritenendo l’infertilità un problema non esclusivamente fisico ma aggrovigliato anche dalle dimensioni psicologiche ed affettive. Ma allora, perché questa disattenzione educativa? Perché non si investe in una precoce informazione alle famiglie? Se è vero, come dicono, che il potenziale di fertilità dei giovani di oggi non è più uguale a quello di un paio di generazioni fa, cosa si aspetta ad assodare lo stato di salute dei ragazzi sul piano riproduttivo? Possibile che ci debba essere, alla fine, solo il ricorso alla provetta, peraltro tardivo, dispendioso e dagli esiti soprattutto “esistenziali” – per ora ci fermiamo qui – oggi non facilmente immaginabili? È naturale che i centri di ricerca chiedano allo Stato di investire in questi settori particolarmente richiesti dal “mercato”. Lo strano è che, diversamente da altri ambiti, questi stessi centri non invochino poi altrettanto impegno nelle prevenzioni qui accennate. Eppure l’economia sanitaria dovrebbe essere oggi particolarmente accorta ed efficace. Assessori regionali e dirigenti sanitari stanno fornendo cifre molto alte – e questo può essere comprensibile come strumento di pressione politica o di propaganda d’immagine e di efficienza – delle coppie che chiedono una pratica di procreazione assistita. Ma moltiplicando i costi per il numero delle coppie richiedenti, non c’è il rischio di spendere per pratiche di fertilità – che hanno una riuscita del 10% – cifre esorbitanti che lasciano di fatto irrisolto il problema? Domande, le nostre. Punti interrogativi. Li preferiamo a quelli esclamativi che evitano apposta ogni confronto.

© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI

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