Scuola, sarà l’anno degli insegnanti?
L’anno scolastico si apre a Foligno in un clima di sostanziale stabilità (un quadro dei pochi cambiamenti è nelle pagine interne). Le vere novità, invece, potrebbero maturare sul fronte del corpo insegnante, dove il Governo Renzi sembra intenzionato a portare il confronto per affrontare le vere sfide del cambiamento. Non c’è più tempo da perdere perché, ancor prima delle dotazioni scolastiche adeguate, occorre reinvestire per avere insegnanti all’altezza della situazione. Il personale docente in Italia è oggetto di parodie ingenerose, ha un riconoscimento sociale sempre più debole, è più anziano rispetto ai paesi europei (e ancor più lo sarà con la nuova età pensionabile, se non arriveranno in cattedra leve più giovani), è restio talvolta, o forse solo sfiduciato, verso le possibilità del rinnovamento del sistema scuola. C’è anche una crepa tra i docenti anziani più garantiti e i giovani precari costretti ad una lunga attesa fuori della scuola o ad entrarvi con un piede soltanto. La lunga stagione riformatrice Berlinguer-Moratti-Fioroni-Gelmini ha ricordato quelle guerre del passato che terminavano per lo sfinimento dei contendenti, dimentichi quasi delle cause che le avevano scatenate, ed è giunta a conclusione nel momento peggiore della storia repubblicana, viste le urgenze di bilancio e la difficile crisi economica. Gli investimenti nell’istruzione sono infatti diminuiti negli ultimi 15 anni dal 10,3% al 9,3% della spesa pubblica. Rispetto all’Europa abbiamo speso non di più, ma un punto e mezzo di Pil in meno per l’educazione. E mentre abbiamo ridotto le cattedre e bloccati gli stipendi, quasi nulla è stato fatto per rimotivare, aggiornare, qualificare la professionalità docente. Eppure sta qui lo snodo di ogni processo di miglioramento della scuola. Dopo due rivoluzioni copernicane tutto sommato riuscite – la scuola centrata sugli allievi e la scuola centrata sul territorio – ne occorre una terza: la scuola centrata sulla professionalità e sull’autorevolezza dei docenti: professionisti qualificati dei processi formativi e dell’educazione culturale. Da qui l’urgenza di un grande patto politico che ponga la scuola al centro delle priorità e dei bilanci, reinvestendo con coraggio soprattutto sulla funzione docente. Ma siccome i politici passano e i docenti restano, è giunto il momento di non farsi troppe illusioni, perché un colpo di bacchetta magica della politica – e tutte le forze politiche ci hanno onestamente provato – che risolva tutti i problemi della scuola non ci sarà, e non ci sarà nemmeno un ministro salvatore della scuola. Innovare il modo di fare scuola e il modo di essere insegnanti è difficile che avvenga solo per decreto, senza cioè una parallela mobilitazione educativa e culturale – quella politico-sindacale non basta – del corpo docente che recuperi la fiducia verso la scuola: la fiducia dei ragazzi e delle famiglie, dell’opinione pubblica e della politica, prima ancora la fiducia dei docenti verso se stessi, verso i colleghi e la loro stessa professione. Senza tale fiducia appare difficile anche quel riconoscimento sociale ed economico giustamente atteso da tanti anni.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI