Una storia spirituale
I cento anni di mons. Alessandro Trecci
Alla base delle “secolari fortune” di Don Alessandro c’è un irregolare corso di teologia. Don Alessandro non frequentò le lezioni di teologia del Seminario perché stava male, troppo male, non poteva permettersi di vivere nella comunità seminaristica e seguirne la didattica. Ma guarda caso: questa sua assenza fu la sua fortuna, o meglio fu una “grazia segnalata”. E doppia. Prima di tutto perché scampò dalla teologia della seconda o terza scolastica, scritta “in un orrido latino”, come dice lui. In secondo luogo Don Alessandro poté costruirsi da solo il corso teologico. Già prete, scelse di leggere non i ponderosi tomi della teologia morale in latino, ma le opere di san Francesco di Sales. Aveva indovinato! Il Sales immetteva il lettore nel mondo moderno: dava importanza ai laici nella Chiesa, ragionava bellamente con simboli tratti dalla natura, usava il linguaggio della gente comune, fondava tutta la teologia sull’amore (Trattato sull’amore di Dio; Introduzione alla vita devota). In confronto al Sales, gli Autori spirituali che nel secolo Ventesimo andavano per la maggiore (Marmion, Pollien, Chautard …) non erano la fonte originale ma la derivata, non la luce solare ma la luce di luna.
Don Alessandro! Una buona volta ci dovresti raccontare come costruisti la spiritualità sacerdotale durante i cinque anni vissuti da parroco a Colle s. Lorenzo e poi quelli vissuti da viceparroco in Cattedrale. Anni di costruzione, poi vennero quelli delle conseguenze. Ci interessa la caratteristica “mista” della tua spiritualità; nella tua preghiera si armonizzavano la memoria delle azioni concrete di parroco e l’attenta lettura delle opere salesie. Ti accompagnavano altri Autori classici: San Bonaventura da Bagnoregio col suo Itinerarium mentis ad Deum e l’Imitazione di Cristo. Ma ecco la novità inaspettata: Don Alessandro cominciò a leggere anche le opere di Camus. Come mai? Ecco, voleva capire da che parte venisse l’incredulità contemporanea. Voleva riuscire a scorgerne la radice. Scoprì, come una lucida premessa, che il frequente ateismo, più o meno tormentato, del nostro tempo non può essere isolato da tutto il resto della cultura contemporanea, va inserito nella generale crisi dei valori, li accompagna. Don Alessandro, dopo la lettura di Camus e di altri Autori consimili, non fu più spiritualmente quello di prima. Aveva perso una troppo facile innocenza, quella che giudicava l’ateismo con sentenze sbrigative. Quali le conseguenze? Lasciamo a lui la parola: “La ricerca della verità richiede un sereno atteggiamento d’umiltà, cioè la rinuncia ai nostri atteggiamenti di superficiale sicurezza, perché la verità è come il roveto fiammeggiante dell’Oreb, la terra sacra, sulla quale si cammina solo a piedi nudi”. Infine, è comprensibile che Don Alessandro prese l’abitudine di raccomandare il silenzio del raccoglimento, per schivare il chiacchiericcio vocale e mentale. Tutti devono finalmente sperimentare il silenzio, carico di stupore e di gratitudine, quel silenzio che impedisce la distrazione dell’anima e la futura delusione. Nel fecondo tacere, nel superamento dei vani discorsi, nell’acquisto progressivo di una mente penetrante, è possibile giungere a ripetere le parole della sposa del Cantico: “Ho trovato l’amore dell’anima mia, l’ho trovato e non lo lascerò mai”.
© Gazzetta di Foligno – Don Dante Cesarini