Tutti giù per terra
Ancora problemi tecnici per gli F35, intanto va avanti il piano di riduzione del governo
Il Pentagono ha imposto lo stop a tutti i voli di collaudo e addestramento degli F35 a seguito di un incidente verificatosi il 23 giugno in Florida, un incendio e la perdita di alcuni pezzi in pista. L’F35 è un super caccia costruito dalla americana Lockheed Martin. Il progetto coinvolge direttamente il nostro paese, che ha un piano di acquisto di una novantina di velivoli destinati a sostituire l’obsoleta flotta dei Tornado ed è anche partner-costruttore di alcune sue parti. Come è noto, nella realizzazione di questo aereo sono coinvolte anche due importanti aziende del territorio, la Oma Tonti e la NCM, e infatti proprio nella sede della NCM nello scorso aprile si è svolto un incontro tra i fornitori italiani e il committente americano durante il quale i due imprenditori folignati, Umberto Tonti e Renato Cesca, non hanno mancato di sottolineare la cospicua entità degli investimenti legati alle commesse e la loro ricaduta occupazionale. Il governo Renzi ha manifestato la volontà di una drastica riduzione del numero dei velivoli da acquistare. L’argomento, sicuramente trattato durante la visita di Obama a Roma, sembra una spada di Damocle sulle relazioni tra i due paesi: gli americani premono infatti perché non vi sia alcuna riduzione e si appoggiano alla leva del ritorno industriale ed occupazionale, per non dire che minacciano la cancellazione degli appalti alle industrie italiane, tra le quali vi sarebbero, certamente, anche quelle folignati. L’incidente dello scorso giugno e il conseguente blocco dei voli stabilito dall’amministrazione americana è solo l’ultimo dei problemi registrati da questo programma militare (sono già noti difetti cronici nel software di gestione e in alcuni assemblaggi), un programma che ha visto un aumento dei costi del 70% rispetto alle stime iniziali (spesi già quasi 400 miliardi di dollari) e un ritardo di alcuni anni sui piani originari. Già da tempo viene messa in dubbio l’utilità di questi mezzi rispetto ai piani di difesa nazionali e alle prospettive di difesa integrata europea, ma i molti problemi tecnici fanno temere sulla loro stessa adeguatezza ed affidabilità e presagiscono costi di gestione e manutenzione molto elevati. Per i sostenitori del progetto, l’F35 è una scelta obbligata e costituirà il perno della difesa di molti paesi occidentali per i prossimi 40 anni, per i detrattori è solo il pegno che paghiamo all’alleanza con gli Stati Uniti. Non sappiamo come proseguirà la vicenda e che cosa accadrà alle commesse delle due aziende folignati. Ci pare però, con tutto il rispetto per gli investimenti sul territorio e per l’occupazione che questi generano, che vi siano in gioco beni più grandi. Troppo spesso il dibattito sull’economia locale è viziato da una provinciale miopia. Quella che chiamiamo “meccanica fine” e che è il fiore all’occhiello dell’industria locale è anche, almeno in parte, industria militare, con tutto quello che ne consegue. Ed anche senza finire sul terreno, certo scivoloso ma imprescindibile, delle questioni etiche legate all’uso delle armi e alla loro produzione, un ragionamento più “piccolo” può aiutarci a comprendere quanto l’interesse locale possa essere in contrasto con il più importante bene comune: se l’F35 sarà davvero così oneroso da manutenere, come si teme, sarà una manna per le aziende che ne producono i componenti, ma un peso sul bilancio statale e inciderà sulle risorse che potranno essere dedicate ad altro. Io faccio il tifo per investimenti e lavoro sul territorio, ma prima ancora faccio il tifo per il mio Paese, perché compia scelte militari coerenti con la politica di difesa dettata dalla Costi- tuzione e compatibili con le (poche) risorse a disposizione.
© Gazzetta di Foligno – VILLELMO BARTOLINI