McCurry

McCurry? Più testimonial che fotografo

Gli scatti del mostro sacro forse non valgono la spesa, ma la pubblicità…

McCurrySono costati 150 mila Euro i primi 100 scatti commissionati dalla Regione Umbria al fotografo Steve McCurry, e altri 70 mila ne verranno sborsati per i 45 che seguiranno di qui a breve, dedicati, a quanto pare, ai borghi e agli eventi rimasti fuori dal primo “rullino” (prevalentemente i Ceri di Gubbio). Il materiale già prodotto, confluito in una mostra itinerante (attualmente l’esposizione è a Bevagna) si presta certamente a valutazioni anche severe. McCurry emerge prevalentemente come ritrattista, non per niente l’immagine simbolo della campagna è il volto di una ragazza in abiti medievali. Questa icona, insieme agli altri quadri costruiti alle Gaite di Bevagna, un set che sfogliando il catalogo della mostra ricorre frequentemente, ha certo una notevole forza espressiva (pur non brillando per originalità). Non tutte le ciambelle sono però riuscite col buco e siccome non sono dolcetti esattamente a buon mercato, si capisce che ci sia chi storca il naso. Gli scatti su Foligno non emergono per vivacità, sono 4 o 5, tutti in interni. Vi sono raffigurati il Centro Italiano d’Arte Contemporanea, la Calamita Cosmica e il Chiostro di Sassovivo, animato dalla presenza orante della Comunità Jesus Caritas.
Sarà che conosco più o meno tutti i luoghi che McCurry ha immortalato, ma l’impressione, sfogliando il catalogo, è, almeno a tratti, di una certa rigida finzione: un’Umbria senza stagioni, rappresentata in un’eterna primavera, animata da personaggi che per sembrare autentici finiscono per recitare se stessi. Danno questa sensazione la finta infiorata realizzata in un cortile di Spello, la famiglia sorridente riunita a pranzo davanti al casolare (manca solo il Tavernello), la ragazza che legge sul prato davanti a Tempio di S. Angelo con la bicicletta adagiata sull’erba, o quella che finge di restaurare un affresco nella chiesa di San Francesco a Montefalco. Insomma un’opera criticabile, eppure non priva di meriti, il primo dei quali è quello della ricerca di un linguaggio più moderno di promozione turistica. Se infatti l’artista non è sempre riuscito a trasmettere autenticità, si è sforzato di umanizzare ogni fotogramma e, cosa forse più importante, è divenuto un testimonial: l’Umbria ha legato la sua immagine al suo nome e questo, in pubblicità, conta. E non poco. È un po’ come pagare la soubrette di turno per indossare il tuo bracciale, o il macho del momento per venire al tuo locale. Sembra brutto, ma funziona. Alla fine l’idea di rendere la nostra regione un luogo “da National Geografic” mi pare più intelligente di quella che ebbero i cugini marchigiani qualche anno fa, quando fecero recitare l’Infinito in uno stentatissimo italiano a un pur bravo Dustin Hoffman.

© Gazzetta di Foligno – VILLELMO BARTOLINI

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