La famiglia e l’handicap
A colloquio con Katiuscia Di Giacomo
Sono passati 20 anni da quando Katiuscia si è trovata sulla sedia a rotelle dopo un “banale” incidente. Ancora ricordo il raggiante sorriso, la spensieratezza, l’allegria che sempre caratterizzavano i suoi interventi; infatti è stata una mia alunna all’Istituto Tecnico Commerciale “F. Scarpellini” ed è per questo che ho scelto di incontrarla e di intervistarla per la Gazzetta di Foligno, per far capire come, in un attimo, può cambiare l’esistenza. Katiuscia aveva 18 anni, nel pieno della sua vitalità e dei suoi progetti. Una caduta ferma tutto. Eppure oggi ancora sorride, è gioiosa, incontra e saluta tutti con grande simpatia e ti spiazza con la sua candida disinvoltura. Parlare di handicap non è semplice, affrontare questo tema sembra dare per scontato il discorso che oggi semplifichiamo con “diversamente abile”. Non credo sia così, né per il singolo che vive una situazione di handicap, né per la famiglia che deve saper accettare e gestire un problema certamente non facile. Basta pensare un attimo al disagio che comporta una malattia, un ricovero ospedaliero: bisogna dire stop ad ogni attività, ad ogni routine quotidiana; un problema serio ed irreversibile come una forma di handicap impone necessariamente un cambiamento radicale della propria vita, reinventarsi giorno dopo giorno una capacità di lotta, di dialogo, di relazione con se stessi e con gli altri, a partire dai genitori, dai fratelli, dagli amici, da tutto il mondo.
All’incontro con Katiuscia sono presenti la mamma Giuseppina e la sorella Monia.
Katiuscia, come hai vissuto e come vivi questo cambiamento nella tua vita?
Ho vissuto all’inizio il mio cambiamento di vita con molta difficoltà, non riuscendo a capire come avrei potuto fare tutti i giorni la mia vita quasi regolarmente come prima, ma adesso sto capendo che ci sono molte persone che sono disponibili ad aiutarmi, che mi vogliono molto bene nonostante la mia difficoltà fisica. Sto affrontando la mia vita nel miglior modo possibile, cerco ogni giorno di darmi da fare, soprattutto nella fisioterapia, perché comincio a capire che, sebbene siano passati molti anni dal mio incidente, io qualcosa a livello fisico riuscirò a fare con le persone che mi trattano, e con la volontà di Dio riuscirò a guadagnare qualcosa che a livello medico magari non sarà possibile guadagnare. Questa è la mia speranza ed ogni giorno riconfermo il mio impegno e la mia forza di volontà. Dico sempre: “Se Dio me lo permette”.
Come si è modificato il rapporto con tua sorella?
Io e mia sorella abbiamo parlato sempre poco, lei è molto impegnata con il lavoro e con i figli e quindi ha meno tempo per me, anche se io vorrei molto parlare con lei. Adesso mi rendo conto che anche lei è stata, da quando mi è successo l’incidente, una mia seconda mamma, perché mi è stata molto vicino quando ero in coma, aiutando mamma a fare le pratiche mediche, a portarmi all’ospedale a Trevi, sempre disponibile.
Interviene Monia: “Non abbiamo fatto in tempo a diventare sorelle, sette anni di differenza; quando a lei è successo l’incidente, aveva 18 anni ed io ero appena sposata da tre mesi, cominciavamo ad uscire insieme allora, perché la differenza di età si sentiva meno ed il rapporto stava fiorendo in quel momento, poi è crollato il mondo e siamo rimaste veramente due estranee, ma non per cattiveria”.
L’affetto c’è sempre stato, ma il rapporto è diverso.
I tuoi amici, chi sono? Sono cambiati?
Io avevo molti amici quando andavo a scuola, ero molto legata a tante persone, avevamo fatto tante esperienze belle, però ora i miei amici sono particolarmente quelli del gruppo di preghiera con cui faccio incontri più specifici nel cammino. Faccio parte del gruppo del discepolato, il secondo anno, cioè voglio diventare discepola di Gesù Cristo. Questi amici mi aiutano per uscire, andare al gruppo, andare a cena fuori e in tante altre attività.
Mi rivolgo alla mamma e alla sorella. Qual è stata la vostra reazione alla notizia che Katiuscia non avrebbe più potuto camminare?
Non c’è stato un vero e proprio momento, è un percorso in cui tu capisci che la vita ti cambia. Non c’è una reazione, c’è un modificare la tua vita in base ad esigenze diverse che si presentano. Se devo focalizzare un sentimento, forse non c’è. È stata una volontà di reagire a qualcosa che era più grande di noi e che logicamente doveva essere affrontato.
Si attraversa un vortice di emozioni e di sofferenza grande, perché si passa da una possibilità di morte e invece Katiuscia vive, dal fatto che non doveva vedere e invece vede, parla, sente. L’unica cosa è che non cammina e questo in una società come la nostra pregiudica tante cose.
La signora Giuseppina specifica che è un macigno che ti cade addosso: “Io ancora ricordo quello che mi disse il Professore neurologo dell’unità mentale di Perugia: ‘Lei deve diventare per sua figlia madre, sorella, amica, infermiera e medico’. Non è facile. Non ho perso però mai la speranza, mi affido alla Provvidenza del Signore”.
Da chi avete avuto sostegno ed aiuto?
All’inizio sicuramente amici e parenti, poi attraverso il CVS, poi il Rinnovamento dello Spirito, che ci ha sostenuto sia sotto il profilo spirituale che quello fisico. Attraverso la comunità il Signore è stato rincontrato e ci ha risollevato, perché altrimenti si viveva nella disperazione. Abbiamo imparato a portare la croce con il Signore e, attraverso le persone che camminano con Lui, si può camminare ed andare avanti. Si sono avvicendate tante persone, un sacerdote ci diceva che non ci dovevamo preoccupare di Katiuscia, perché il Signore un angelo vicino a lei ce lo avrebbe sempre messo, e questo è vero: c’è sempre stata una persona precisa all’interno della comunità dedicata a lei senza che nessuno lo avesse programmato. Molti giovani si avvicendano al suo fianco e vivono con grande coerenza la loro fede. Sotto il profilo delle istituzioni, all’inizio niente, poi si entra in un meccanismo e incontri La Locomotiva ed il Comune ti offre quello che c’è.
Quali sono state le difficoltà più grandi che avete incontrato e che ancora oggi incontrate?
Le difficoltà di comunicazione, vedo che mamma fa fatica a far capire le esigenze della figlia; esiste poca cura di questi malati e penso sia un problema a livello nazionale, perché si fanno tagli impressionanti alla sanità. Poi le difficoltà sono quelle normali, legate all’agibilità delle strutture dovunque tu voglia andare, dal ristorante all’albergo, a qualsiasi luogo pubblico.
Come siete stati aiutati dalle istituzioni? E come oggi vi sostengono?
La struttura che accoglie Katiuscia è La Locomotiva, dove è ben inserita. Abbiamo incontrato operatori molto disponibili ad ascoltare le difficoltà e le problematiche; forse sarebbe più costruttivo se le persone venissero raggruppate per patologie, in modo da attuare interventi più mirati.
© Gazzetta di Foligno – NICOLINA RICCI