Urbanizzazione diffusa e acquedotti colabrodo
L’immagine dell’Umbria è strettamente legata a quella dei suoi santi: Benedetto, Rita, Chiara, ma soprattutto Francesco. A loro si riferisce, senza peraltro nominarli, lo Statuto regionale, quando dichiara che “La Regione assume come valori fondamentali della propria identità, da trasmettere alle future generazioni […] il patrimonio spirituale, fondato sulla storia civile e religiosa dell’Umbria”. Due recenti rapporti sembrano indicare che l’insegnamento di Francesco, il cui nome tanto bene fa al turismo locale, non sia esattamente al centro delle politiche del territorio. Il primo è il rapporto 2014 dell’ISPRA sul consumo di suolo, sora nostra madre Terra, direbbe il Poverello. Si tratta del rapporto ufficiale di un’agenzia governativa, non della prolusione di qualche “fanatica” organizzazione ecologista. Il documento evidenzia che il consumo di suolo agricolo in Italia, quel fenomeno per il quale il terreno viene “impermeabilizzato” per la costruzione di edifici e infrastrutture, non si è interrotto nemmeno in questi anni di crisi economica. Anzi, la percentuale di suolo “consumato” cresce ogni anno. La nostra regione non si distingue nel preoccupante panorama nazionale ed è giunta a un consumo annuo che sfiora l’8% secondo le stime peggiori. Il rapporto racconta anche lo “sprawl” urbano, quell’effetto di dispersione che hanno le città in conseguenza di un’urbanizzazione diffusa e sempre più rarefatta (to sprawl è un verbo della lingua inglese che possiamo tradurre tranquillamente con “stravaccarsi”). Lo “sprawl” urbano scrivono i tecnici dell’ISPRA “tende a eliminare la distinzione tra città e campagna con elevati costi sociali, economici, ambientali”. Vi viene in mente qualcosa? A me sembra la descrizione del paesaggio lungo la vecchia Flaminia tra Trevi, Foligno e poi a nord verso Spello, Assisi, Bastia… Non è piacevole (ma non stupisce) scoprire che l’Umbria sia leader di questo fenomeno e che Perugia abbia il più alto indice di dispersione urbana tra tutte le città esaminate!
Il secondo rapporto riguarda la gestione delle acque pubbliche e lo stato degli acquedotti, è stato elaborato da Cittadinanza Attiva ed è anch’esso recentissimo (marzo 2014). L’acqua è molto utile, per essa Francesco lodava e ringraziava l’Altissimo Onnipotente bon Signore, ma gli acquedotti umbri sono un colabrodo e ne disperdono quasi il 40% (con un significativo aumento rispetto alla rilevazione precedente). L’acqua è anche pretiosa, recita il Cantico delle Creature, e su questo bisogna dire che l’Umbria è proprio francescana. Le tariffe della nostra regione sono infatti tra le più alte d’Italia e hanno subito un aumento del 40% negli ultimi sei anni. L’acqua è anche umile et casta, ma le 18 concessioni attive in regione consentono di imbottigliare un miliardo e duecentocinquanta milioni di litri di acqua minerale all’anno e solo gli spiccioli del business restano sul territorio sotto forma di concessione (a conti fatti meno di due millesimi al litro*). È più facile e dà molta più visibilità scrivere il nome del santo sulla targa di un aeroporto o citarlo in un intervento pubblico. È più difficile, e richiede lavoro paziente e spesso oscuro, tradurre in politiche concrete quel valore aggiunto che la radice spirituale della nostra terra ci ha consegnato.
Gazzetta di Foligno – VILLELMO BARTOLINI
*ns elaborazione, fonte dati Legambiente