L’Eremo di Campello, dove l’ecumenismo è di casa
La nebbia, opaca e fredda, può regalare sorprese, come è capitato in uno di questi giorni uggiosi, quando siamo arrivati all’Eremo francescano, sopra Pissignano. Da lì, la Valle Spoletana è un mare dal quale emergono il castello di Campello Alto e più in là Poreta, luogo originario della comunità che qui vive. Sorella Maria, Valeria Pagnetti, lasciate le Francescane missionarie di Maria, tra le quali aveva preso i voti, aveva fondato proprio a Poreta nel 1922 una comunità che potremmo dire di sorelle laiche, in quanto dedita alla «vita fraterna, regolata e custodita dalla disciplina religiosa», ma senza crismi ufficiali. Questo, nell’idea della fondatrice, avrebbe permesso l’accesso alla comunità anche a donne di altre religioni e avrebbe consentito – come fu – di creare legami con quanti, già allora, si facevano cercatori di Dio e prossimi degli altri. Maria aveva conosciuto il dolore morale e fisico nell’ospedale angloamericano di Roma, dove aveva prestato il suo servizio nella cura dei feriti della prima guerra mondiale. E non si era limitata a curare i corpi, ma aveva anche cercato di esaudire il desiderio di spiritualità di quelle persone, cercando per loro chi potesse consolarle rispettandone la fede. Era così entrata in contatto, direttamente o per lettera, con importanti personalità del tempo. Non possiamo citarli tutti, ma va ricordato Ernesto Buonaiuti, storico, teologo, docente antifascista e per questo sospeso dal regime; esponente di punta del modernismo e per questo scomunicato dalla Chiesa; poi Giovanni Luzzi, pastore valdese animatore di iniziative a carattere sociale, traduttore della Bibbia; il pastore protestante Paul Sabatier; l’episcopaliana Miriam Shaw; Amy Turton, la «sorella Amata», anglicana, che fu la sua prima compagna, ed Evelyn Hunderhill, scrittrice, poetessa, anglo-cattolica, studiosa di misticismo. E poi Gandhi, che considerava l’incontro con Maria uno dei ricordi più cari; Albert Schweitzer, medico, teologo, musicista, missionario luterano, Premio Nobel 1952 per la pace. A lui la comunità inviava bende per il suo ospedale in Africa. Tra i tanti ricordiamo anche Giovanni Vannucci, David Maria Turoldo, Zeno Saltini e Primo Mazzolari.
Come è facilmente intuibile, lo stile scelto da Maria per la sua comunità e le amicizie che intratteneva le procurarono attacchi e sofferenze. Guardando la storia oggi, superato il valico del Vaticano II, viene quasi da sorridere, ma all’epoca dell’«Indice dei libri proibiti» e dell’avviso di scomunica appeso a tutti i confessionali, tenere fede alla sua vocazione deve aver richiesto molto coraggio e preghiera. Chi volesse spigolare nei testi delle persone che abbiamo citato, vi troverà spesso quasi una minuta dei testi conciliari, come d’altra parte avviene per altri profeti di allora. E l’eremo, contro ogni avversità passata e presente, è ancora lì.
Quando arrivate, alzate il pesante manubrio e lo lasciate cadere. Poi vi chiedete se qualcuno ha sentito e cominciate a pensare di avere sbagliato la manovra. Ma dopo poco, uno scampanellio festoso vi rassicura: qualcosa succede. Le sorelle – per non parlare del cane, che non apprezza i cappelli – vengono ad accogliervi, tutte, al cancello e vi sentite subito a casa vostra.
Visitiamo l’eremo, di antiche origini, poi ci rechiamo nella «sala comune», l’unica riscaldata da una stufa di terracotta: intorno al tavolo, sorbendo una tisana appena infusa o sgranocchiando dolcetti fatti in casa, cominciamo a parlare con le sorelle, perché questo è lo scopo dell’incontro. Parliamo della storia che sta lievitando in questi giorni, che è fatta di gesti e di parole e di simboli. Proviamo, con le sorelle, in questo luogo-simbolo, a mescolare un po’ gli ingredienti, cercando di farne cibo per lo spirito. E chiediamo loro del recente annuncio di Papa Francesco: «Presso il Santo Sepolcro celebreremo un incontro ecumenico con tutti i rappresentanti delle Chiese cristiane di Gerusalemme, insieme al Patriarca Bartolomeo di Costantinopoli». Sarà anche l’anniversario dell’abbraccio di Paolo VI con il Patriarca Atenagora. A questo punto la conversazione – siamo anche in prossimità della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – svolta verso l’ecumenismo. Daniela Maria, attuale responsabile della comunità, ci spiega subito che l’ecumenismo per cui l’Eremo è famoso, non è mai stato, nemmeno nel pensiero e nella pratica di vita della fondatrice, un ecumenismo teorizzato, codificato, teologico. Tutto partì da quegli incontri in un ospedale di guerra, che diventarono il pentagramma delle «Allodole»: la memoria di nomi e volti delle persone che chiedono aiuto, conforto e consolazione nella preghiera e nella vita. Vita comune, perché ordinaria e perché costruita insieme. Un ecumenismo aperto verso i «cercatori» – come li chiama Daniela Maria – prescindendo dal chiedersi se la loro ricerca andrà a buon fine. L’eredità dell’ecumenismo viene portata avanti anche oggi dalle sorelle, ma non è vista come criterio di ricerca vocazionale: è piuttosto un punto di arrivo e partenza dal Vangelo, fonte del volersi bene. Non si può negare che lo stile di sorella Maria si innestò su un fermento di desideri diffusi che portarono al rinnovamento del Concilio. Non si può rifiutare – afferma Daniela Maria – la riflessione teologica, ma occorre interrogarci come Chiesa: perché i cristiani di Oriente e di Occidente non si sono mai fatti carico gli uni degli altri? E quanti cristiani d’Europa, per esempio, pregano per i rapiti in Siria? Non è che i cristiani si stanno ignorando tra loro, riducendo a una sola settimana all’anno la preghiera reciproca? Noi cristiani siamo «coloro che fanno memoria»: perché non proviamo a farla nella preghiera quotidiana, ricordando gli amici, i carcerati, i condannati a morte, i bisognosi, i poveri? La piccola realtà dell’Eremo risponde ogni giorno a queste domande, diffondendo un ecumenismo vissuto, che passa per la preghiera e per il cuore.
© Gazzetta di Foligno – MASSIMO BERNABEI
Ho appreso della Vostra stupenda testimonianza e disponibilità leggendo
“per un’immagine creativa del Cristianesimo” di Don Do, del quale “Come il fiore del campo” è per me, da anni, il mio “libre de chevet”: una sublime raccolta di preghiere ecumeniche. Quanto vorrei potermi immerger un poco nella vostra spiritualità|
Ma ho quasi 90 anni, e la mia patente non mi concede oltre 15 km da casa (Monza). Devo studiare come arrivare nei pressi con mezzi pubblici.
Vi telefonerò appena si aprirà la primavera.
Intanto, un caro salto e casto abbraccio da Piero Dentella