Come un pellegrino
Il Papa che ha voluto assumere il nome di Francesco ha compiuto ad Assisi non una visita pastorale, ma un pellegrinaggio. Scortato dalle nubi del cielo, che non hanno osato rovesciare acqua per l’intera giornata, il Pontefice è arrivato di buon mattino, riservando uno spazio di tempo più ampio all’incontro con i bambini disabili e ammalati, ospiti dell’Istituto Serafico. Dopo averli abbracciati uno ad uno, lasciandosi accarezzare, il Papa ha confidato: “Sull’altare adoriamo la Carne di Gesù; in loro troviamo le piaghe di Gesù”.
Dopo la commovente sosta al Serafico, il Papa ha fatto tappa prima a San Damiano, nel luogo in cui Francesco si è lasciato avvolgere “dallo sguardo di Gesù sulla Croce”, e poi nella Sala della Spoliazione del Vescovado di Assisi. In questo luogo, ove Francesco ha inteso che “nessuno può servire due padroni” (cf. Mt 6,24), il Papa ha incontrato i poveri assistiti dalla Caritas e ha raccomandato alla Chiesa di “spogliarsi di ogni mondanità spirituale”, di togliersi l’abito della paura, “di aprire le porte e di uscire verso tutti”, di deporre le vesti “della tranquillità apparente che danno le strutture e di ciò che non è essenziale”.
“Nulla tra lui e Dio”: questa è la povertà vissuta da san Francesco, il quale, come ha ricordato il Papa nell’omelia pronunciata durante la Messa, ha sempre inteso l’amore per i poveri e l’imitazione di Cristo uniti in modo inscindibile, “come due facce di una stessa medaglia”. La predilezione per i poveri, che fin dalla giovinezza ha toccato il cuore di Francesco, ha suggerito al Papa di sedere a mensa con i poveri, presso il Centro di accoglienza della Caritas di Assisi, prima di salire all’Eremo delle Carceri con un’utilitaria, che ha fatto impallidire le tante auto blu che hanno raggiunto Assisi con a bordo volti noti e meno noti delle istituzioni nazionali e locali.
La successiva tappa a San Rufino ha offerto a Papa Francesco l’occasione di incontrare le varie realtà della Chiesa diocesana. Rivolgendosi ai presbiteri, ha ribadito che compito del pastore è quello di “camminare con il popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita”. Se in San Rufino il Papa non ha esitato ad ammonire i preti, lamentando che spesso le omelie sono “interminabili e noiose”, in Santa Chiara non ha avuto timore di ricordare alle monache di clausura “di avere una grande umanità, come quella della Chiesa”, di non essere “troppo spirituali”, ma di coltivare una “santità di madre”, di non essere sorridenti “come un’assistente di volo”, ma gioiose, di curare la vita comunitaria con il balsamo dell’amicizia.
Il Papa, infine, è giunto a Santa Maria degli Angeli; dopo essersi raccolto in preghiera all’interno della Porziuncola, ha incontrato i giovani umbri – numerosissima la delegazione folignate! – che hanno invaso di gioia la piazza antistante la Basilica. Sottolineando loro che “Gesù non ci ha salvato provvisoriamente ma definitivamente”, Papa Francesco li ha esortati a non essere schiavi della “cultura del provvisorio”, che impedisce di “fare passi definitivi” come quello del matrimonio, “rispettandone i tempi e le espressioni”, o come quello del sacerdozio e della vita consacrata, sempre annunciata da “un’esperienza forte di Dio”. Con sapida ironia il Papa ha raccomandato ai genitori di spingere i figli a decidersi, suggerendo alle mamme di non stirare più le camicie dei loro figli!
Il pellegrinaggio del Pontefice nella Città serafica si è concluso a Rivotorto, nel luogo che custodisce la memoria di una delle prime tappe dell’itinerario di fede compiuto da san Francesco, che la liturgia ritrae come “uomo semplice, umile e libero”. Fra le immagini giottesche che cercano di tradurre la figura di questo uomo straordinario, quella che più di ogni altra ne mostra la vibrante umanità lo raffigura impegnato a reggere la Basilica Lateranense. L’affresco, che si ispira al sogno compiuto da Innocenzo III e che gli infioratori di Spello hanno riprodotto sul sagrato di San Rufino, mostra che san Francesco ripara la Chiesa dall’interno: non costruisce un edificio nuovo sopra i ruderi di quello antico; non si limita a mettere in sicurezza l’edificio vecchio, ma lo solleva con l’argano della santità, intagliando nella propria carne la colonna portante della povertà.
+ Gualtiero Sigismondi